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Maschere: dall’oro alla carta

Fatta con i materiali più diversi la maschera si presenta con le due facce contrapposte dell’oggetto prezioso e dell’oggetto usa e getta che simbolicamente sono rappresentati dall’oro e dalla carta.

Luisa Canovi


L’oggetto chiamato maschera appartiene a tutte le culture del mondo. Ha attraversato la storia dell’uomo dai primitivi riti tribali alle più contemporanee rappresentazioni spettacolari: si può considerare come un volto finto indossato per motivi religiosi, magici, rituali, ludici, sociali, teatrali e così via.

L’etimologia della parola maschera risale al latino medioevale “masca” che originariamente significava “larva”. Successivamente prende anche il significato di fantasma, strega, essere camuffato per incutere paura ai bambini. La larva, o abitante di posti umidi, bui e sotterranei è lo spettro di una persona morta che può tornare sulla terra con scopi a volte malefici e a volte anche benefici.


NELLE RAPPRESENTAZIONI SACRE E PROFANE, dove le larve tornano tra i vivi, sono proprio i vivi con una maschera (la larva-masca) sul volto che impersonificano queste forze sotterranee. La festa più conosciuta è il Carnevale in cui personaggi di vario tipo, da Pulcinella vero e proprio fantasma dal largo costume bianco ad Arlecchino (Hell queen - regina dell’inferno) arrivano per stravolgere la vita quotidiana e ribaltare l’ordine delle cose. La maschera sul volto impedisce di riconoscere chi la porta e quindi indossare la maschera autorizza a fare ciò che normalmente non si può fare. C’è allora, proprio grazie alla maschera, il ribaltamento dei ruoli, il povero (anche solo per un giorno) prende il posto del ricco e mangia a crepapelle, l’uomo diventa donna, il giovane diventa vecchio e questo “diventare l’altro” scarica le tensioni, diverte. Poi, tolta la maschera, tutto ritorna alla normalità quotidiana. In questo senso la maschera appartiene al tempo sacro, al tempo in cui si svolge un evento straordinario, che comunque ha sempre un inizio e una durata ben delimitati.


MOLTO PRIMA DEI RITI CARNEVALESCHI LA MASCHERA AVEVA GIÀ RUOLI BEN DEFINITI E CONSACRATI:per esempio quello di conservare le sembianze di un defunto, spesso un re o un nobile, attraverso una specie di ritratto tridimensionale fatto a contatto col volto del defunto. Questa tecnica precede di secoli quella del calco vero e proprio e l’esempio più famoso è la maschera detta di Agamennone risalente al XVI° secolo a.C. Realizzata in sottile lamina d’oro questa maschera, come tutte le maschere funerarie, non vuole camuffare il volto ma fissarne le sembianze per sempre e solo un materiale prezioso come l’oro ne potrà conservare la memoria nel tempo.


MATERIALI MENO PREZIOSI SONO INVECE USATI PER COSTRUIRE MASCHERE ADATTE A CAMUFFARE IL VOLTO UMANO: con legno, conchiglie, corda, paglia, foglie e infiniti altri semplici elementi si fanno le maschere dei riti magici usate nelle società tribali di tutto il mondo. Rappresentano via via gli spiriti del bene e del male, gli animali da cacciare, gli antenati da venerare, le forze della natura da invocare. Vengono indossate dal capo tribù che, grazie a pratiche sciamaniche diventa realmente l’essere rappresentato, oppure le indossano i membri della comunità per sancire passaggi di stato sociale. Iniziazioni, riti matrimoniali, investiture di potere vengono sottolineate dalla presenza di maschere simboliche per l’uno o l’altro rito. In queste maschere si crede risiedano anche nei momenti di inattività gli spiriti degli esseri rappresentati e spesso i materiali stessi hanno una valenza simbolica relativa al loro significato. Per esempio usare il pelo del lupo per la maschera del lupo ne accresce la forza e anche se la maschera non viene indossata la sua forza rimane intatta.


NON SEMPRE PERÒ LA MASCHERA ASSUME UN SIGNIFICATO SACRO PERENNE, spesso è costruita e usata per una funzione che ha senso nel momento in cui viene usata e poi rimane un semplice oggetto. Nella Grecia classica in cui fioriscono l’arte, la filosofia, la letteratura e il teatro la maschera ha un’importanza culturale e sociale. Commedie e tragedie recitate in grandi spazi all’aperto necessitano di volti codificati che possano essere visti bene e riconosciuti anche da lontano. Costruite con tela di lino, legno, sughero, ciocche di capelli veri e pochi altri materiali le maschere greche avevano tutte la caratteristica comune di una grande bocca aperta che permetteva l’amplificazione della voce e una fissità di sguardo rivolto davanti a sé con enormi occhi. I tratti somatici erano enfatizzati per esprimere di volta in volta i grandi miti (eroi, re, divinità), condizioni sociali e mestieri (ricchi, servi, indovini), sesso ed età (giovane fanciulla, uomo nel pieno delle forze, vecchio morente). A differenza delle rappresentazioni tribali dove c’è la piena identificazione con la maschera che si indossa, nel teatro c’è la finzione momentanea di ciò che si rappresenta. L’attore finge per un tempo limitato di essere un altro ma tutti lo sanno e la maschera greca resta quindi solo un oggetto di scena senza alcuna implicazione magica o simbolica.


NEL TEATRO IN GENERALE LA MASCHERA AVRÀ IL SIGNIFICATO DI RAPPRESENTARE anche quando si trasforma da forma codificata e rigida in una forma più libera e flessibile, ad esempio nelle commedie veneziane in cui il volto è semplicemente celato da una raffinata mascherina di raso o di velluto che evidenzia gli occhi e la forma del viso. In questo caso la maschera fatta di tessuti raffinati rappresenta il gioco degli amanti, gli scambi d’identità, il sovvertimento dei ruoli. Spesso neppure nasconde il viso, semplicemente lo rende più misterioso. Totale mascheramento al fine di occultare completamente chi le indossa sono invece le maschere cappuccio tutte uguali fra loro cucite in tessuti poveri come cotone o lane grezze per le cerimonie della settimana santa o nelle processioni religiose o ancora nei funerali. Necessario in questi casi mantenere l’anonimato dei partecipanti.

Maschere più costruite e di nuovo codificate sono le maschere scolpite in legno e poi realizzate in cuoio debitamente ammorbidito e inchiodato sul legno fino a prenderne la forma. Si creano con questa tecnica volti realistici o grotteschi con particolari estremamente raffinati nelle fattezze di labbra corrucciate, nasi adunchi, rughe, zigomi, sopracciglia. Sono le maschere della commedia dell’arte ma anche di generi teatrali diversi e più moderni vicino ai giorni nostri.


UN SISTEMA PIÙ ECONOMICO NEI MATERIALI E FORSE PIÙ SEMPLICE NELLA TECNICA PERMETTE DI REALIZZARE LE STESSE MASCHERE IN CARTAPESTA. Si modella un volto in creta e si realizza il calco dello stesso col gesso (si può fare anche il calco direttamente sul viso dell’attore che indosserà la maschera). Dentro il calco si incollano poi strisce di carta strappata e incollata con colla di farina e strisce di garza che assicurano una maggiore elasticità nell’uso. A lavoro ultimato e asciugato si stacca la maschera di cartapesta e si procede alle finiture, coloritura, taglio degli occhi, aggiunta di elementi espressivi. Questa tecnica del calco in gesso, come quella del modello in legno, permette di creare dei multipli anche se in realtà ogni maschera finale sarà comunque un pezzo unico.


ANCHE IN ORIENTE, IN PARTICOLARE IN GIAPPONE LA TECNICA DELLA CARTAPESTA viene usata per le maschere teatrali o per maschere gioco usate dai bambini: oltre alla tecnica delle strisce di carta a volte viene utilizzata la pasta di carta macerata e mescolata alla colla di amido di riso. Questo tipo di cartapesta risulta più liscia e modellabile e una volta asciutta assomiglia quasi a una porcellana. Sempre dal Giappone, ma in anni molto recenti, ci sono le maschere origami costruite con un unico foglio di carta senza tagli né colla ma soltanto attraverso piegature. Si tratta in realtà di maschere non indossabili e la loro bellezza insieme alla complessità tecnica le avvicina di più alla scultura di carta. Allo stesso modo non sono indossabili le mascherine cinesi ritagliate in fogli di carta nera simili alle silhouettes del teatro d’ombre o ancora i mascheroni di mostri e draghi di carta colorata e intagliata ispirati alle tradizioni popolari.


DALLE ARTI DELLA PIEGATURA E DEL TAGLIO DELLA CARTA NASCONO MASCHERE REALIZZATE CON LE TECNICHE DEL KIRIGAMI E DEL POP UP, figure cioè che appaiono magicamente aprendo le pagine di un libro con un effetto a sorpresa e si riappiattiscono chiudendo il libro. Altre maschere di carta simili a vere e proprie sculture si costruiscono assemblando sagomine ritagliate e sovrapposte fino ad ottenere bassorilievi con sorprendenti effetti di tridimensionalità e profondità.


ANCHE FRA GLI ARTISTI, PITTORI E SCULTORI, LA MASCHERA HA AVUTO UN RUOLO DI ISPIRATRICE E OGGETTO DI CULTO.

Da Pietro Longhi a Renè Magritte, da Aubrey Beardsley a Pablo Picasso, ma si tratta appunto di pittura e scultura. Un artista che ha scelto il concetto di maschera per una sua personalissima ricerca è Saul Steinberg . Attraverso semplici sacchetti di carta simili a quelli del pane ha realizzato maschere dalla forte espressione ironica facendole indossare a persone dall’abbigliamento comune fotografate in ambienti comuni con gesti comuni. Il risultato è di qualcosa fuori dal comune proprio per l’assenza del volto sostituito da grandi sacchetti di carta resi significanti con semplici e sapienti segni di occhi, naso e bocca. •

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