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Lungo il fiume Serchio, alla scoperta di una valle antica

Percorrere a ritroso il fiume, verso la sorgente, è un viaggio attraverso una Toscana "nuova", fatta di itinerari silenziosi, talvolta aspri, in cui borghi inaspettati e antichi, ricchi di cultura e tradizioni, appaiono tra boschi e valli scoscese.

Lucia Maffei


Il Serchio, che lambisce la città di Lucca per poi sfociare nel Mar Tirreno, è costeggiato “da una bella strada costruita su un grande argine che corre verso Ponte a Moriano e serve a contenerne le piene” (1) : da qui il fiume si incunea per quasi cento chilometri lungo una valle tra le montagne della Garfagnana dove si scoprono luoghi incantevoli e paesaggi di rara bellezza. Michel de Montagne, nel 1580, racconta come, partendo da Lucca, ed incamminandosi verso nord sulla “strada che, per il più del tragitto, era di fondovalle e abbastanza agevole lungo il corso del Serchio, si oltrepassano parecchi villaggi e borgate, e il detto fiume su un ponte d’inusitata altezza che abbraccia, con un solo arco, gran parte della larghezza del Serchio.” Il viaggiatore cinquecentesco parla di Borgo a Mozzano oggi famoso per essere uno dei centri di coltivazione dell’azalea, ma soprattutto per la presenza dell’imponente ponte della Maddalena, meglio conosciuto come ponte del Diavolo. La costruzione di questo particolarissimo ponte risale al Mille, ai tempi della Contessa Matilde di Canossa. Il suo aspetto, tipico dei ponti medievali a “schiena d'asino”, presenta però una caratteristica unica: le sue arcate sono asimmetriche e quella centrale è talmente alta e ampia che la sua solidità sembra una sfida alla legge di gravità. L’aspetto così scombinato del ponte dette ben presto vita ad una leggenda popolare: un muratore che aveva iniziato a costruirlo, accorgendosi che non sarebbe riuscito a completare l'opera per il giorno fissato e preso dalla paura delle possibili conseguenze, si rivolse al Maligno chiedendogli aiuto. Il Diavolo accettò di completare il ponte in una notte in cambio, però, dell'anima del primo passante che lo avesse attraversato. Il patto fu siglato e il ponte terminato. Ma l’astuto muratore fece attraversare il ponte per primo ad un porco. Il Diavolo, beffato, scomparve per sempre nelle acque del fiume.


PROSEGUENDO IL CAMMINO DOPO POCHI CHILOMETRI È D’OBBLIGO FARE UNA SOSTA NELLA CITTÀ DI BARGA.

Arroccata su una collina, Barga domina la valle del Serchio e gode di una vista splendida sulla catena delle Alpi Apuane. Qui, sul finire del 1800, trovò casa e serenità il poeta italiano Giovanni Pascoli. Quello fu un periodo culturale molto intenso per i barghigiani, che videro riunirsi attorno al poeta gli artisti e gli intellettuali più importanti del periodo. Lo stesso Giacomo Puccini fu spesso ospite del Pascoli alla Bicocca, la bella casa del poeta a Castelvecchio. Oggi la Casa Museo, non solo conserva intatta la memoria dei gesti piccoli e quotidiani, ma custodisce anche gli oltre sessantamila manoscritti e la preziosa biblioteca del poeta.

Ma Barga è famosa innanzitutto per il suo bellissimo Duomo, esempio purissimo di architettura romanica, collocato in posizione dominante sulla città e sull’intera vallata. Al suo interno il magnifico pulpito del 1100 emerge dall’ombra calma delle navate, innalzandosi su quattro colonne di marmo rosso che poggiano e “schiacciano” a terra simboli e figure pagane. Ed all’esterno del Duomo, il quieto paesaggio, l’aria tersa del tramonto e i rintocchi dell’antica torre campanaria fanno tornare alla mente una delle più celebri poesie pascoliane, “La mia sera”, e il rintocco della campana diventa parola e verso poetico. “Don... Don... E mi dicono, Dormi! mi cantano, Dormi! sussurrano, Dormi! bisbigliano, Dormi!”.


LASCIATA BARGA SI PROSEGUE SEMPRE LUNGO IL SERCHIO VERSO CASTELNUOVO GARFAGNANA. Il paesaggio intorno diventa più aspro, la valle più stretta e la cittadina ci appare improvvisa, dopo una stretta curva. Castelnuovo ha una origine antica e per secoli fu snodo di traffici di ogni tipo e preda di contese politiche. Nel castello che tuttora domina il centro abitato soggiornò, come governatore della corte Estense, il poeta Ludovico Ariosto. E’ sicuro che il raffinato autore dell’”Orlando Furioso” non apprezzò molto la permanenza in questi luoghi duri e selvaggi, dove gli stessi abitanti avevano un carattere decisamente “ruvido”, se scriveva ad un amico che … “O stiami in Rocca o voglio all'aria uscire, accuse e liti sempre e gridi ascolto, furti, omicidi, odi, vendette et ire!”.

Proseguendo oltre Castelnuovo si può andare in cerca del piccolo paese di Fabbriche di Careggine, un itinerario, questo, davvero insolito, più un percorso della memoria alla ricerca di un borgo unico, strano, famoso: questo è un paese che si può visitare solo ogni dieci anni perché è sommerso da un lago e riappare solo quando il lago stesso viene svuotato per ripulire la diga che lo sbarra. Il lago di cui parliamo è quello di Vagli, “nato” nel 1941 quando la società elettrica Selt-Valdarno dette inizio alla costruzione della diga alta 92 m e destinata a contenere 36.000.000 m3 di acqua sbarrando il corso del fiume e sommergendo inesorabilmente il piccolo paese e l’antica chiesa di San Teodoro.

Alla fine di questa passeggiata, troviamo proprio nei versi di una poesia la conferma di come l’acqua, placida e inarrestabile, nel suo eterno movimento, sia radice e fondamento della vita stessa e i fiumi con il loro eterno scorrere accolgano da sempre, lungo le loro sponde, uomini e civiltà diverse:


“…Questo è il Serchio, al quale hanno attinto duemil’anni forse di gente mia campagnola, e mio padre e mia madre”

(Giuseppe Ungaretti, I fiumi, 1919). 

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