Da globale a mondiale. Da fornitore di soluzioni a promotore di nuovi approcci ai processi produttivi. Gli effetti della tranquilla rivoluzione in atto alla Perini non tarderanno a farsi sentire.
Paolo Canton
La produzione industriale, soprattutto quella di grandi impianti, è caratterizzata dalla materialità. Nella percezione corrente, fare industria è mettere insieme in modo predefinito ed efficiente pezzi metallici, fili elettrici e componenti varie in modo da realizzare oggetti da destinare agli usi più disparati.
Da qui la grande importanza che si attribuisce alla qualità manifatturiera e all’innovazione tecnologica, come indici della capacità di realizzare oggetti nuovi, in grado di soddisfare meglio, a minor costo, con più efficienza e affidabilità, le esigenze del cliente, consumatore o impresa che sia. Da qui, anche, l’interesse che questo giornale dedica da sempre ai temi della qualità e dell’innovazione.
Ma esiste anche un modo diverso, per considerare le imprese industriali e i loro prodotti: attraverso quel che non si vede e non si tocca. Un passaggio evolutivamente inevitabile: come quello compiuto dall’homo habilis, il nostro antenato capace di usare e produrre utensili, per diventare homo sapiens, essere capace di produrre e diffondere conoscenza.
QUESTE RIFLESSIONI MI SONO STATE SUGGERITE DA UNA FRASE DI GUIDO FINOCCKÌ, Direttore Vendite, Marketing & Service della Körber PaperLink, quando gli ho domandato quali fossero i dubbi che lo assillano quotidianamente, mi ha risposto:
“Mi verrebbe da parlare di problemi tecnologici e produttivi, della capacità di rispondere a sfide tecniche o di individuare nuovi mercati, ma mi rendo conto che così facendo evaderei il vero nocciolo della questione. Sempre più spesso, per i nostri clienti, per le persone con cui intavoliamo trattative commerciali, per chi ci sta considerando come potenziale partner, quello della tecnologia e della qualità manifatturiera è un dato di fatto. È ovvio che, essendo presente da decenni nel mercato delle macchine per la trasformazione del tissue con una quota rilevante e crescente, la Fabio Perini è in grado di soddisfare questa esigenza basilare – vorrei dire minima – della clientela. Saper costruire macchine, e saperlo fare bene, è ormai solo un prerequisito della nostra sopravvivenza. Io stesso, nel momento in cui mi trovo di fronte a un’esigenza specifica tendo a dare per scontato la nostra capacità di offrire una soluzione tecnica. È possibile che ci voglia del tempo per trovarla, ma la soluzione c’é.”
“IL PIANO DEL CONFRONTO, QUINDI, QUELLO IN CUI SI CONCENTRANO I MIEI DUBBI,” PROSEGUE FINOCCKÌ, “OGGI SI È SPOSTATO SU UN ALTRO PIANO, TOTALMENTE IMMATERIALE.”
A dire la verità, arrivando a Mugnano ero mentalmente preparato a tutto, meno che alla determinazione a non voler parlare di macchine. O meglio, a parlarne da un punto di vista completamente diverso dal solito.
“Perini non è più solo un costruttore di macchine per la trasformazione del tissue. E non potrà rimanere un cosiddetto “fornitore di soluzioni” per molto tempo ancora. Quello che il mercato comincia a chiederci è passare dalle soluzioni alle idee.”
Detto così, sembra solo una provocazione. Gli chiedo di spiegarsi meglio, di scendere su un piano più quotidiano. Decide di partire da lontano.
“PROPRIO DIECI ANNI FA, LA FABIO PERINI PASSAVA SOTTO IL CONTROLLO DELLA KÖRBER, un importante gruppo industriale tedesco. Si è trattato di un passaggio epocale, fondamento della nostra realtà attuale. Il cambiamento, avvertito solo minimamente dapprincipio, è oggi manifesto: in dieci anni si è sviluppata una dialettica di integrazione che ha radicalmente cambiato la Fabio Perini. Eravamo abituati a pensare solo a noi, alle nostre esigenze di crescita. Ci siamo dovuti abituare all’idea di far parte di un grande gruppo e di conformare le nostre strategie di sviluppo a una logica più ampia (che devo confessare all’inizio, a volte, ci sembrava oscura). Questo ci ha permesso di seguire il mercato nel passaggio dalla richiesta di macchine alla domanda di soluzioni, integrando i nostri prodotti, in una logica di linea produttiva completa, con quelli di altre società del gruppo.”
SULL’ARGOMENTO CHIEDIAMO DI INTERVENIRE A MARTIN WEICKENMEIER, PRESIDENTE DELLA FABIO PERINI S.P.A., MA ANCHE DELLA HOLDING DI GRUPPO, LA KÖRBER PAPERLINK. La sua idea – che da alcuni anni è la strategia di KPL e Perini – è di grande semplicità ma, nello stesso tempo, di complessa realizzazione.
“La KPL è nata per aggregazione di imprese con caratteristiche di eccellenza. Compito della KPL è stato quello di trasformare questa competenza in leadership. Oggi, con anni di lavoro alle spalle, possiamo affermare di essere leader nel tissue, nella carta e nel packaging. Ma già da tempo ci domandiamo cosa bisogna fare per mantenere questa leadership. E da tempo abbiamo orientato i nostri sforzi strategici verso la trasformazione delle nostre aziende in centri di competenza. Ma per fare in modo che il loro agire fosse coordinato e integrato, abbiamo anche creato un’infrastruttura comune che permettesse loro di affrontare i mercati armonicamente, con un’unica voce, abbastanza forte da farsi sentire in un contesto sempre più globalizzato e concentrato.”
Dunque, un modello di decentralizzazione e delega gestionale, caratterizzato da linee guida di comportamento tese a creare integrazione fra le diverse aziende, al fine di presentare il gruppo come fornitore di sistemi di produzione e partner di processo per le imprese dei settori carta e tissue.
RIPRENDE GUIDO FINOCCKÌ: “MA CIÒ CHE È PIÙ RILEVANTE, NELLA NOSTRA OTTICA DI SINGOLA IMPRESA DEL GRUPPO, è che la maggiore ampiezza delle prospettive di un grande gruppo industriale – insieme alla sua solidità finanziaria – ci hanno permesso di concentrarci sull’elaborazione di strategie a lungo termine. Ci siamo potuti permettere il lusso di dimenticarci – almeno di quando in quando – cosa mettere nel piatto per cena per pianificare il menù di Natale del 2010.
L’esercizio di straniamento dalla realtà quotidiana ci ha suggerito – quasi senza che ce ne accorgessimo – alcuni adattamenti che, alla prova dei fatti e con il passare del tempo, si sono rivelati assai più rivoluzionari di quanto ci aspettassimo.”
COME TUTTE LE RIVOLUZIONI, ANCHE QUESTA HA AVUTO UN INNESCO. In questo caso, la scintilla che ha fatto brillare le polveri è stato un cambio di Management, avvenuto, significativamente, nell’ultimo anno del secolo scorso (ovviamente, stiamo parlando del 1999), quando l’attuale presidente della Fabio Perini S.p.A. e della Körber PaperLink ha assunto l’incarico.
“Il suo biglietto da visita,” ricorda Finocckì, “è stato l’orientamento al cliente. Dapprincipio, per noi è stato difficile capire che tipo di conseguenze strategiche potesse avere una dichiarazione così vaga, che peraltro ci sembrava già di condividere. Forte del senno di poi, posso affermare che la visione del nuovo Management era acuta. Come spesso accade, la nostra azienda stava attraversando una fase di ripiegamento sui rapporti interni: la necessità di ottimizzare gli aspetti del processo produttivo con un impatto sui costi, e il sopravvivere di logiche non più al passo con i tempi, soprattutto in alcune aree aziendali, non ci permettevano di essere veramente customer-centric o, quanto meno, di esserlo in senso profondo.”
“In particolare, quello che ci mancava era la capacità di mettere a frutto e condividere con il cliente il patrimonio di conoscenze che avevamo accumulato in anni di attività di produzione, commercializzazione e, soprattutto, ricerca.” Guido Finocckì comincia così a configurare il cambiamento che ha attraversato la Fabio Perini negli ultimi quattro anni: un cambiamento invisibile, eppure così evidente.
COME ACCADE AGLI INDIVIDUI, ANCHE LE IMPRESE SONO CONDIZIONATE, NEL PROPRIO AGIRE, DALL’IMMAGINE CHE HANNO DI SE STESSE. La Fabio Perini oggi non si considera più un produttore di macchinari industriali, quanto, piuttosto un facilitatore di processi. La concentrazione è passata dall’offerta di soluzioni alla condivisione con il cliente di un valore fondamentale dell’azienda: il capitale umano e, in particolare, il bacino di conoscenze relative al prodotto, ai processi produttivi e al mercato. L’obiettivo è diventare un partner di riferimento per il supporto e l’orientamento in tutte le scelte di produzione.
“QUESTO OBIETTIVO HA UN IMMEDIATO RISVOLTO OPERATIVO,” AFFERMA GABRIELE PACINI, AMMINISTRATORE DELEGATO DELLA FABIO PERINI S.P.A, “Nel momento in cui la Fabio Perini non è più un’azienda che opera nel mercato degli impianti per la trasformazione del tissue, ma nel mercato delle idee, il rapporto con il cliente si trasforma da commerciale a consulenziale. In termini pratici, questo significa che non esistono più soluzioni preconfezionate per nessuno. Ogni caso, il più piccolo come il più grande, merita una risposta personalizzata, perché ogni azienda è diversa da ogni altra. Ma ha anche un’importante implicazione filosofica: la Fabio Perini non può essere un’azienda globale. Essere un’azienda globale significa proporre il medesimo modello operativo, produttivo e commerciale in tutto il mondo, chiedendo ai propri clienti di adattarsi a una norma stabilita altrove. Noi crediamo, invece, che la Fabio Perini debba essere un’azienda mondiale, cioè in grado di adattare il proprio modo, il proprio atteggiamento, il proprio prodotto alle esigenze del cliente, della sua situazione locale, delle esigenze del suo mercato. Quando riusciremo a essere così, potremo davvero affermare di essere un’azienda in cui il cliente è al centro della struttura.”
“MA, OVVIAMENTE,” INSISTE PACINI, “SE VOGLIAMO RESTARE SUL MERCATO, ED ESSERE VALIDI PARTNER DI PROCESSO PER I NOSTRI CLIENTI, NON POSSIAMO PERMETTERCI DI PERDERE COMPETITIVITÀ. La strategia della qualità regge nella misura in cui è supportata dall’efficienza produttiva.” E scopriamo così che alla Perini la ristrutturazione dei processi è partita dal tavolo da disegno e dai Cad. “La parola d’ordine è stata standardizzazione dei pezzi e delle lavorazioni, condotta parallelamente alla modularizzazione dei prodotti. A questa attività, che potremmo definire di razionalizzazione tecnica, si è affiancata una revisione dei processi, orientata all’eliminazione delle aree di inefficienza.” Più facile a dirsi che a farsi, però.
In termini pratici, questo ha comportato l’istituzione della figura del responsabile dei processi, al quale è stata affidato un compito che si può sintetizzare in tre parole: formare, uniformare e standardizzare.
UN ALTRO RISVOLTO – STRATEGICO PIÙ CHE OPERATIVO – È RISCONTRABILE NELLA CREAZIONE DI UN VERO REPARTO RICERCHE, che agisce indipendentemente dagli stimoli della produzione (a cui resta esclusivamente dedicato lo specifico reparto Sviluppo) per definire nuovi concetti. Era, infatti, impensabile continuare a essere innovativi sotto la pressione quotidiana delle richieste della produzione perché, come ama dire Martin Weickenmeier, “l’ufficio ricerche deve avere la libertà di essere provocatorio, di creare attriti e frizioni dai quali scaturisca energia innovativa. Quindi, non solo macchine nuove, ma anche nuovi approcci alla gestione dei processi produttivi e, perché no, perfino nuovi prodotti. Questa azienda è nata e cresciuta grazie alle intuizioni di un ristretto gruppo dirigenziale, ma oggi è necessario poter contare su un bacino di competenze e conoscenze più allargato. Continuare a crescere richiede di produrre molte idee in campo tecnologico, produttivo, organizzativo e commerciale. Magari idee diverse e in conflitto fra loro, perché ne possa emergere una forte e innovativa.”
DUNQUE, UNA RIVOLUZIONE GIÀ IN ATTO. E UNA RIVOLUZIONE I CUI EFFETTI SONO IN BUONA PARTE “INVISIBILI”. Ma anche una rivoluzione che viene condotta senza mai perdere d’occhio la realtà quotidiana, con tutte le sue sfaccettature. Domandiamo a Gabriele Pacini come vede la sua azienda al termine di questo processo evolutivo.
“La Fabio Perini è destinata a diventare un’impresa mondiale, produttivamente decentrata, ma con un rapporto sempre più vivo e vitale con la terra che l’ha vista nascere, ed è depositaria storica delle conoscenze del settore. Sarà un’impresa organizzata fluidamente per rispondere ai continui mutamenti del mercato, ma in grado di garantire la qualità di ciò che produce; in grado di pensare in grande, anche per i clienti più piccoli. D’altra parte, il forte imperativo al cambiamento che abbiamo avvertito nasce dal fatto che il settore del tissue è sempre vitale, e questo porterà inevitabilmente all’affacciarsi di nuovi competitor e a un inasprirsi della concorrenza. Dovremo essere pronti e ben preparati, per continuare a essere leader.”
TORNA, COSÌ, IL TEMA DELLA LEADERSHIP. E NOI TORNIAMO A MARTIN WEICKENMEIER, PER UNA NOTA CONCLUSIVA. “Quello che normalmente viene percepita come la chiave per mantenere una leadership di mercato – migliore organizzazione di vendita, migliore tecnologia, migliore struttura produttiva – non è che una componente. E neppure quella più importante. Per restare leader bisogna essere felici di lavorare, di competere nel mercato. La leadership è nella testa dei dipendenti, e da lì passa al mercato. In questo senso, il mio compito, come presidente di un grande gruppo industriale, è fra i più lieti: far sì che la gente che lavora con me sia felice di farlo. E può esserlo solo se è responsabile del proprio futuro. Voglio che i miei collaboratori siano responsabili del proprio successo: per questo devo dar loro la libertà di costruire il proprio futuro, interpretando i principi del gruppo. E tutte le risorse necessarie perché lo possano perseguire.”•