Imago libri è un volume pubblicato dalle Edizioni Sylvestre Bonnard che raccoglie una ricerca profonda e articolata sui più prestigiosi musei del libro europei. Abbiamo chiesto alla sua autrice, Maria Gregorio, di raccontarci questa importante esperienza.
Maria Gregorio
Imago libri è un racconto di viaggio, nato con l’intento di illustrare una tipologia di musei poco conosciuta in Italia ma di straordinario interesse e valore: i musei del libro. Del libro e non della stampa: differenza sostanziale, questa, poiché i secondi sono principalmente musei della tecnica e di storia della tecnica, ed espongono - entro un contesto storico e culturale - macchine, strumenti, materiali e oggetti necessari alla fabbricazione di libri, opuscoli, periodici ecc.
I primi, invece, sono apparentabili ai musei di storia delle idee e di cultura materiale, nonché di artigianato e di arte, ed espongono manoscritti e libri ricreando nella sua complessità il mondo in cui sono nati questi “oggetti”: da osservare, ciascuno, nei propri elementi costitutivi (materiali e immateriali) nonché in rapporto gli uni con gli altri, accostandoli con sapienza a oggetti coevi di arte e artigianato, a documenti storici – lettere, manifesti, materiale pubblicitario - che ne accompagnano la vita; considerandoli, infine, stimoli per dare vita a nuove forme di creazione (i libri d’artista, per esempio). Afferma Leo Voogt, direttore del Museum Meermanno-Westreenianum dell’Aia: “La cosa principale, quando si prende in considerazione l’oggetto libro, è di non limitarsi mai a considerarne la forma estetica, la bellezza, il progetto grafico: altrettanto importante è valutarne la funzione, il significato, il posto che occupa nella società e nel processo produttivo”.
Ovviamente, e per fortuna, i confini non sono mai rigidi o invalicabili e gli stessi oggetti compaiono talvolta a giusto titolo in entrambi i musei, della stampa e del libro: nondimeno, l’identità di tali musei è affatto diversa e diversa è la missione che ciascuna tipologia persegue.
IL VIAGGIO È NATO DA UN PROGETTO ELABORATO CON LA FONDAZIONE ALBERTO E ARNOLDO MONDADORI per dare vita a un museo del libro e dell’editoria a Milano, città che nonostante l’attuale, profonda crisi culturale e di identità può ancora dirsi capitale dell’editoria in Italia. Per iniziare una costruzione tanto ambiziosa abbiamo giudicato necessario porre il primo “mattone” con una ricerca volta a capire a fondo quali forme possa assumere un “museo del libro”. Così è iniziato un viaggio mirato a osservare e, poi, testimoniare che cosa è già stato fatto in altri paesi europei: Svizzera, Belgio, Olanda, Francia, Germania, Irlanda e Regno Unito. Di questo dà conto il libro.
SE IN EUROPA I MUSEI SONO TRA I GRANDI PROTAGONISTI DELLA POLITICA CULTURALE, ciò è dovuto al diffuso convincimento che i luoghi della cultura (musei, archivi, biblioteche), godendo del sostegno dell’intera comunità, hanno l’obbligo morale di aprirsi alla frequentazione non soltanto di eruditi e specialisti, ma di tutti i cittadini, giovani e anziani, colti o semplicemente curiosi. Per costruire tale consapevolezza – uso le parole di un grande museologo contemporaneo, Ivan Karp – i musei devono proporsi come “lo spazio pubblico capace più di qualunque altro di offrire un asilo sicuro: invitando alla sosta, all’apprendimento, alla meditazione, a un più lento e vasto respiro. Nel museo possiamo rilassarci, ci sentiamo a casa nostra in un luogo che la società mette a disposizione di tutti, per il piacere di tutti, per pensare con l’agio necessario e incontrare i nostri simili”.
Sembra un’utopia, ed è invece la realtà che ho constatato nei musei descritti: nella loro diversità, essi appaiono accoglienti, gioiosi, aperti all’esperienza di tutti, talché il pubblico vi accorre numerosi e ne gode. E ciò è dovuto al fatto che le esposizioni sono pensate e allestite in modo che ogni visitatore, quale che sia la sua storia e cultura, ne divenga il destinatario privilegiato; anzi, per così dire, il coautore. La mostra è infatti costruita per essere innanzi tutto un’esperienza anche emotiva, capace di coinvolgere l’intera persona: il visitatore deve uscire dal museo non necessariamente sapendone di più, bensì avendo percepito che lì sono esposti, con i documenti e gli oggetti, pezzi della sua storia e della sua vita, frammenti della sua memoria e della sua tradizione.
Il libro è lì esposto quale strumento privilegiato della mediazione tra la persona e il mondo: forse il più idoneo a trasmettere memoria, cultura, sapere di una nazione, di una regione, di una città, di un mestiere. Ciò spiega il motivo per cui in pochi altri musei sia dato di percepire con tanta evidenza il rapporto strettissimo che lega un certo oggetto alla società intera, nonché il reciproco gioco di influenze e rispecchiamenti che si svolge tra gli attori coinvolti sulla scena: autori, editori, tipografi, grafici, distributori e librai, bibliotecari, archivisti e lettori. Lo dice bene Heike Gfreires, direttrice del recentissimo Museo della letteratura moderna a Marbach, che nasce, appunto, da un grande archivio letterario: “I fondi archivistici sono la memoria della nostra cultura, conservano i nessi della tradizione, le tracce della vita, gli accadimenti (anche casuali) quotidiani e insieme la grande storia, la memoria del lavoro sul testo [...] conservano dunque materiali che sono parte integrante della vita quotidiana e di lavoro di una nazione”.
DUE ESEMPI, RADICALMENTE DIVERSI MA AFFINI NELLO SPIRITO, VALGANO PER TUTTI. Il primo è offerto dalla Chester Beatty Library, meraviglioso museo di Dublino dedicato al libro sacro - Corano, Bibbia, libri delle religioni orientali -, che nel 2002 ha ricevuto il titolo di Museo europeo dell’anno per le innovazioni e l’eccellente qualità degli allestimenti ma anche - e forse in prima istanza - per il ruolo svolto a favore della “conoscenza in un mondo in cui la religione è stata in tempi recenti associata ad atrocità e divisioni”.
Un museo così apparentemente difficile, elitario, sembrerebbe voler proteggere i propri inestimabili tesori più che esporli: invece, esso conta duecentomila visitatori all’anno (a volte, mille in un solo giorno), tra i quali sono numerosissimi i bambini. Spiega Charles Horton, curatore: “Abbiamo deciso di porre in primo piano un aspetto: per quali vie i libri sacri sono nati all’interno di una certa società e perché quasi tutti questi libri sono ancora letti secondo il dettato originale.
Dunque, la nostra scelta prioritaria è stata di mettere in risalto il fatto che, per quanto antichi essi siano, sono tuttora oggetto di lettura e di fede. Una seconda scelta ha determinato l’allestimento: nessun credo religioso deve apparire superiore o migliore di un altro. Chi entra si deve sentire libero di iniziare il percorso dove vuole, dalla sezione e pertanto dalla religione che preferisce.”
Fondamentali in questa prospettiva sono considerati i contatti con le scuole frequentate da minoranze etniche: “I bambini rappresentano la prima generazione di immigrati, e il nuovo paese dove ora abitano deve apparire loro piuttosto strano. Così, se un bambino viene da noi e vede oggetti o libri che gli ricordano quelli dei luoghi che ha lasciato, è probabile che si senta un po’ più a suo agio, più felice di stare qui”.
IL SECONDO ESEMPIO RIGUARDA IL MUSEO DEL LIBRO DI LIPSIA, incentrato sulla storia del libro in Germania, attraverso la quale è possibile leggere in filigrana la storia di un intero Paese. La curatrice racconta un episodio che mette in luce questo inscindibile legame e in particolare l’enorme importanza che può assumere l’orgoglio del proprio mestiere:
“Negli anni della Repubblica democratica, le aziende tipografiche furono accorpate in tre grandi Kombinate, in obbedienza ai principi della programmazione economica centralizzata; si sforzarono, tuttavia, di mantenere sempre alto il livello qualitativo: l’eccellenza, nei momenti di crisi profonda, diventa strumento per resistere. Negli ultimi anni della DDR alcuni giovani grafici cercarono di innovare la produzione, e per il solo fatto di esistere i loro libri d’artista diventarono un avvenimento politico capace di esercitare sugli avvenimenti, pur in un ambito così circoscritto, una non trascurabile influenza”.
Riuscire a mettere in scena, a rappresentare efficacemente in un’esposizione un’esperienza storica e culturale di questo tipo e di questa portata significa usare il museo quale strumento principe della memoria storica e, di conseguenza, della vita civile.
ESSENZIALE APPARE DUNQUE, PIÙ ANCORA CHE LA PREZIOSITÀ E LA RICCHEZZA DEGLI OGGETTI ESPOSTI, la cura data all’allestimento, grazie al quale soltanto la visita al museo si trasforma, da itinerario turistico o semplice occasione di apprendimento, in profonda, autentica esperienza di vita e, in quanto tale, fonte di vero sapere.
Una volta operate le scelte relative alla missione del museo, massima attenzione è pertanto rivolta a tutti gli strumenti allestitivi: supporti, luci, forma delle vetrine, percorsi, pannelli, didascalie. Ai moduli narrativi, alla particolare disposizione nello spazio dei documenti e degli oggetti esposti, ai legami tra loro, fisici, intellettuali o estetici, alla valutazione delle scansioni tra alcuni specifici oggetti in mostra, alle strategie messe in atto per guidare i movimenti dei visitatori nelle sale: per testimoniare l’invisibile attraverso il visibile.
Parole chiave sono il contesto, l’aura, la relazione. Un allestimento “meditato” fa infatti perno sugli accostamenti e sul gioco di corrispondenze degli oggetti tra loro nonché tra questi e lo spazio; sulla relazione che si stabilisce tra chi gli oggetti ha creato, chi li espone e chi li guarda; sulle emozioni sensoriali che irradiano dalle cose, sulla capacità di creare un magico circuito tra la vita che sprigiona dagli oggetti, la conoscenza scientifica dei curatori e la voglia di sapere e di godere dei visitatori.