PJL-30

Collages

La fortuna del Collage ha attraversato parte del XX° secolo favorendo e segnando profondamente l’evoluzione dell’arte pittorica. L’inserimento di ritagli di carta (cartone, giornali, fotografie…) sul piano del foglio ha ampliato le possibilità espressive consentendo di interpretare il nostro tempo con nuove stimolanti forme.

Nico Zardo

Una importante mostra, “Collage/Collages. Dal Cubismo al New Dada”, si è tenuta nei mesi scorsi a Torino alla Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea (GAM), proponendo una lettura storica del collage attraverso l’esposizione di 160 opere provenienti da prestigiose collezioni pubbliche e private italiane e internazionali.

Da Picasso a Sironi, da Max Ernst a Breton, da Schwitters a Matisse, le opere esposte dimostrano come molti protagonisti dell’arte moderna si sono confrontati con questa tecnica traendo ispirazione per la propria esperienza artistica.

 

L’INVENZIONE DEL COLLAGE – nato nel pieno dell’esperienza Cubista - è attribuita a Braque e Picasso che, tra la primavera e l’autunno del 1912, iniziano a inserire nelle loro composizioni tela cerata a imitazione della seduta di paglia intrecciata di una sedia Thonet (Picasso, natura morta, maggio 1912) e ritagli di carta stampata finto legno (Braque, Compotier et verre, settembre 1912). Gli inserimenti, oltre a costituire il mezzo più veloce per ottenere l’effetto del finto legno, stabiliscono compositivamente un piano, un frammento “estraneo”, rigido, che viene messo in relazione dialettica con gli altri elementi dipinti. La presenza di questi elementi “estranei”, ma reali e riconoscibili, offre spunti di immediata interpretazione di composizioni rese spesso criptiche dalle frammentazioni cubiste della figura. In particolare, la presenza dei giornali, che all’inizio del secolo avevano avuto una forte diffusione grazie allo sviluppo dei mezzi di stampa, arricchisce le opere di un dialogo diretto con la realtà.

Man mano che questa tecnica si diffonde (a Parigi Juan Gris, Henri Matisse, Henry Laurens; in Italia Ardengo Soffici, Gino Severini, Carlo Carrà per citarne solo alcuni), le modalità di uso di questa tecnica si modificano. Le tipologie di materiale utilizzato si amplia spaziando dalle carte da parati alla carta da musica, dalla carta da imballo ai biglietti da visita, dalla carta stagnola ai giornali. Anche il peso della presenza di “papier” aumenta fino a occupare tutto lo spazio dell’opera e -a volte- senza più neppure un colpo di pennello.

I surrealisti (Aragon, Max Ernst, Breton) negli anni ’30 mischiano ritagli di giornale, fotografie, immagini di stampe tratte da cataloghi di vendita e romanzi illustrati dell’Ottocento creando suggestive/provocatorie relazioni oniriche che alludono chiaramente alle esperienze freudiane.

Nel periodo tra le due guerre, il collage esprime la sua forza critica nel dramma politico della Germania attraverso le opere di Hanna Höch, George Grosz e Otto Dix. Sempre in Germania, il raffinato Kurt Schwitters figura come uno dei più prolifici pionieri del collage: maestro nell’uso dei materiali di scarto “oscilla nei suoi collages tra l’allusione stilizzata al mondo naturale e giochi di forme più astratti e dinamici”, afferma Alessandro Nigro nel bel catalogo della mostra.

 

NEL SECONDO DOPOGUERRA IL COLLAGE SUBISCE ULTERIORI METAMORFOSI sia nella tecnica che nella sua capacità espressiva. Matisse, negli ultimi anni della sua vita, utilizza il montaggio di cartoni colorati a tempera per la produzione del portfolio Jazz, stampato nel 1947 dall’amico Tériade.

Negli anni ’50, Villeglé, Hains e Rotella utilizzano il décollage dei manifesti di strada rappresentando attraverso la loro stratificazione un paesaggio urbano in veloce e continuo mutamento. E mentre con i suoi sacchi cuciti Burri recupera la capacità assoluta di suscitare emozioni attraverso la materia, Dubuffet rielabora la realtà con gli assemblage di carte improntate da detriti organici, e Rauschenberg “coglie ed esorcizza l’obsolescenza delle cose impregnando la tela con le scorie del nostro vissuto quotidiano, di modo che questa se ne faccia un documento testimoniale, come in Memorandum of Bids del 1957”, scrive nel catalogo Maria Grazia Messina.

La mostra documenta infine le ricerche neodadaiste in Italia nei secondi anni cinquanta, (Scialoja, Afro, Capogrossi, Turcato, Tancredi, Baj, Scarpitta ) e le opere concettuali degli inizi degli anni sessanta, (Piero Manzoni e Giulio Paolini, Ron Kitaj), anni che segnano l’esaurirsi di questa pratica, che sarà soppiantata della Pop Art e favorirà la successiva complessa frammentazione espressiva dell’arte contemporanea.

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