Lucia Maffei
Il 17 giugno del 1806, Gaetano Taverna, giovane impiegato del Ministero dell'Interno napoleonico, partiva da Milano con l'incarico di “recarsi con la massima sollecitudine e con il massimo della discrezione sul Lago di Garda”. Il Vicerè Eugenio Napoleone aveva infatti potuto leggere, in quei giorni, la prolusione di un colto letterato italiano e subito aveva notato la qualità della carta sulla quale era stampata e della quale pensò immediatamente di approvvigionare i suoi uffici.
Insaziabile consumatrice di carta, quella napoleonica era evidentemente una burocrazia profondamente consapevole del carattere innovativo e del valore storico degli atti promulgati e convinta, si direbbe, della necessità che all'importanza degli atti corrispondesse, per dignità e durevolezza, il supporto cartaceo. Che quella carta, allora detta velina, provenisse da Toscolano, sembrava certo. Il paese di Toscolano, collocato sulla sponda bresciana del Lago di Garda era infatti, fin dal XII secolo, uno dei più fiorenti centri dell’attività cartaria, al punto di divenire, durante la Repubblica di Venezia, distretto cartario di rilevanza internazionale. Alla fine del Settecento, lungo il torrente Toscolano erano 38 le cartiere attive, con 102 ruote idrauliche per la triturazione degli stracci e già nel 1804 ben dieci i cilindri olandesi funzionavano a pieno regime.
MA ALL’AMMINISTRAZIONE NAPOLEONICA OCCORREVANO PROVE TANGIBILI DI TANTA PERIZIA, e queste non potevano che derivare da una visita alle stesse cartiere, durante la quale fosse possibile assistere alle diverse fasi della produzione della carta velina. Solo dopo questa verifica il forestiero, inviato dal nuovo governo, per vincere la prevedibile riluttanza del cartaio a far conoscere i propri espedienti tecnici, avrebbe rivelato la sua vera identità e, per dissipare ogni residuo sospetto, avrebbe lasciato intravedere al suo interlocutore la possibilità di assicurarsi uno dei premi che sarebbero stati distribuiti ai migliori manifattori nell'agosto seguente. Attenendosi dunque scrupolosamente alle istruzioni ricevute, Gaetano Taverna si addentra, all'inizio dell'estate del 1806, nella Valle del Toscolano con la richiesta di “vedere la fabbricazione coi propri occhi”, di prelevare alcuni dei fogli appena preparati e di assistere anche alla loro lisciatura. Nella cartiera dei fratelli Andreoli, pochi fogli e l'esame degli strumenti che erano stati impiegati nella fabbricazione di essi convincono il Taverna.
GLI ANDREOLI VENGONO COSÌ SUBITO INVITATI A SPEDIRE CAMPIONI DELLA LORO CARTA VELINA E A DEPOSITARE UNA DESCRIZIONE DEI METODI SEGUITI. I cartai, dal canto loro, si sentono incoraggiati a richiedere una “patente”, quali produttori della carta velina. “Una carta – spiegano – che imita sì davvicino la pergamena, che può quasi con essa confondersi allorché sia portata ad un certo grado di perfezione. Ciò che principalmente la distingue dalle altre carte è la bianchezza, l'eguaglianza del corpo, la sua perfetta trasparenza senza macchie, ed il non aver alcun segno di righe o di file indicante lo stampo” e infine “la pastosità del corpo”. Pur dichiarandosi soltanto “perfezionatori” della carta velina, i cartai di Toscolano ricevono così, nell'Agosto del 1806, la desiderata “patente d'invenzione”, un riconoscimento che non ha il semplice valore di un'onorificenza, ma equivale ad una “privativa” che assegna per cinque anni alla ditta il diritto esclusivo di fabbricare e commercializzare la speciale carta “in tutto il Regno”.
LA FORTUNA DEI FRATELLI ANDREOLI SEMBRA ORMAI SEGNATA. Faustino, che rappresenta la ditta, ripercorrendo la strada che solo poche settimane prima aveva seguito l'inviato del Ministero, si reca a Milano dove viene addirittura ammesso alla presenza di Napoleone e, “accolto con benignità”, ne riceve “un foglio di carta velina forestiera per campione”. Gli Andreoli, del resto, erano una famiglia di particolare intraprendenza fra i cartai di Toscolano. Prova ne era il fatto che nel giro di qualche decennio la famiglia aveva registrato un'ascesa con la quale ben pochi cartai potevano confrontarsi: solo una settantina d'anni prima, il nonno Faustino era entrato come semplice “travaino” a lavorare in cartiera e i due nipoti già possedevano due cartiere i cui prodotti venivano apprezzati persino dalla cancelleria dell'Impero Ottomano.
MA DOPO POCHI DECENNI L’ATTIVITÀ DELLA VALLE GARDESANA, GIÀ PROVATA DALLA FINE DELLA SERENISSIMA REPUBBLICA DI VENEZIA DA SEMPRE OTTIMO CLIENTE DEL COMPRENSORIO PRODUTTIVO, SUBISCE PERÒ UNA BRUSCA BATTUTA DI ARRESTO. Verso la metà dell’Ottocento l’avvento della “macchina continua”, subito adottata in altri distretti cartari, mette praticamente in ginocchio la produzione toscolana di carta in fogli, quella carta che, in brevissimo tempo, rimarrà per pochi, esigenti clienti, tra i quali il compositore Giuseppe Verdi che la richiedeva per stampare i suoi spartiti musicali. La rinascita economica della Valle inizia, solo a partire dal 1875, grazie ad Andrea Maffizzoli. Maffizzoli, il più dinamico fra gli imprenditori locali, introduce finalmente a Toscolano la prima macchina continua, e l’avvio della produzione della carta in rotoli in quella valle, dove le cartiere si “aggrappano” alle pareti scoscese, ne riaccende il successo commerciale. A quell’epoca infatti gli impianti manifatturieri di Toscolano apparivano una vera e propria “moltitudine”. Disposti ciascuno su diversi piani, sfruttavano ogni curva, seguendo l’andamento dei pendii. Proprio la disposizione “a grappolo” permetteva loro di sfruttare nel modo migliore l'acqua del torrente, forza motrice ed elemento essenziale nella lavorazione. Il Toscolano, maggiore tra i corsi d'acqua che solcano i monti della Riviera, forniva infatti un apporto di energia costante che, unito alle particolari condizioni climatiche, rendeva possibile “dar la colla alla carta” anche in estate quando, in altre zone della penisola, l'operazione recava effetti così negativi sulla qualità del foglio che era addirittura proibita per legge. Agli inizi del Novecento, grazie alla costruzione di una delle prime centrali idroelettriche, la ditta di Maffizzoli abbandona la scoscesa Valle delle Cartiere, segnando così l’inizio di un inarrestabile esodo, e si insedia in un nuovo e più moderno stabilimento in riva al lago. La storia della Cartiera di Toscolano percorre tutto il ventesimo secolo in un alternarsi continuo di vicende e di cambiamenti di proprietà, di momenti difficili, come i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, e di vicende di grande espansione, come il boom a metà degli anni Cinquanta. “Oggi la Cartiera di Toscolano, entrata a far parte del Marchi Group dal 1989,” - afferma Girolamo Marchi, attuale Amministratore Delegato del Gruppo - “è senza dubbio erede di questo importante percorso storico ed imprenditoriale.
Non è un caso dunque che l'acquisizione dell’azienda comprendesse anche tutta la Valle delle Cartiere. Fin dall'inizio, non ci è sfuggito il grande valore di questo sito sia sotto il profilo della tradizione industriale che storica ed ambientale. L'attenzione del gruppo Marchi per i valori della tutela dell’ambiente e il rispetto per l'archeologia industriale hanno condotto ad un progetto unitario che si fonda su una logica complessiva di un riuso compatibile per tutto il comprensorio della Valle.”