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Il futuro è nel converting

Guy Goldstein è oggi una delle voci più autorevoli del mondo del tissue. Pensionato dallo scorso anno, quando ha lasciato la Georgia Pacific, di cui è stato Vice Presidente e Direttore del Dipartimento Tecnologia per molti anni, Goldstein continua ad offrire consulenza a molte importanti aziende di tutto il mondo.

Hugh O’Brian


Originario di Parigi, dopo aver conseguito la laurea in Ingegneria Chimica ed un Phd ha esordito nel 1963 come Assistente alla cattedra di chimica fisica all’Università di Strasburgo. Nel 1968 passò alla Beghin, azienda cartaria francese, che a seguito di una serie di passaggi ed acquisizioni è diventata Beghin Say, Jamont, James River, Fort James e infine, nel 2000, Georgia-Pacific.

Goldstein opera da sempre in molte associazioni industriali come TAPPI, ATIP e EDANA, ed ha al proprio attivo oltre 60 interventi presso convegni di settore tra cui il Tissue World. La sua profonda conoscenza sia della tecnologia sia del mercato dei prodotti tissue ed igienici, ne fanno un vero esperto di questi settori.

Adesso vive a Strasburgo, in Francia, ed il Perini Journal lo ha incontrato per chiedergli in quale direzione, a suo parere, si stia muovendo il mondo del tissue. Tra incarichi di consulenza, viaggi di piacere e impegni familiari, Guy si tiene molto impegnato.


PJL: Com’è stato lasciare un ruolo attivo in un gruppo dell’industria del tissue?

GG: Ho lasciato la mia posizione alla Georgia Pacific senza alcun ripensamento, anche a ragione della mia età. Dopo 35 anni spesi in una realtà aziendale, devo dire che non sapevo immaginare come sarebbe stato il passaggio: fortunatamente, tutto è andato bene e sono felice di avere più tempo per la mia famiglia ed i viaggi, pur restando attivo con interessanti progetti per molti amici. E’ piacevole poter stabilire un miglior equilibrio tra i vari interessi e poter scegliere.

Per quanto riguarda il tissue, penso che stia attraversando un momento interessante e molto stimolante. Quello che era vero fino ad un paio di anni fa, oggi potrebbe non esserlo più. Sono entusiasta di poter vivere attivamente questa fase così dinamica ed interessante.


PJL: Come definirebbe il suo ruolo oggi?

GG: Mi piace pensare che grazie alla mia conoscenza ed esperienza nel mondo del tissue, io possa contribuire alla crescita dell’industria. Posso aiutare ad evitare investimenti sbagliati invitando le persone a considerare il medio/lungo termine. Avendo una conoscenza globale di diversi mercati, posso indirizzare le persone verso la direzione migliore e suggerire la scelta giusta al momento giusto; questo ruolo mi piace molto.

In futuro non escludo di poter svolgere questo tipo di lavoro all’interno di un team organizzato. Magari una società di consulenza orientata principalmente, ma non esclusivamente, ai mercati emergenti e alle nuove realtà industriali. Credo che sarebbe molto utile offrire aggiornamenti tecnologici in tutte le aree, dalle macchine da produzione/trasformazione fino allo studio del prodotto, incluse soluzioni complete chiavi in mano per progetti greenfield.


PJL: Come vede il futuro per il TAD ed i prodotti basati sul TAD?

GG: Sono tempi duri per il TAD. Questo richiede un grande investimento iniziale e alti costi produttivi, specialmente energetici.

Con un alto costo dei prodotti finiti, necessario ai produttori per coprire gli investimenti necessari. Ma il contesto della distribuzione non permette grandi rialzi di questi tempi; i prezzi stanno calando in molti mercati. Il settore tissue è dominato dalle catene hard discount come Lidl, Aldi, o Wal-Mart, per le quali l’obiettivo è sempre e comunque un prezzo più basso.

Con una concorrenza così sfrenata, i marchi più cari non avranno vita facile.

Se consideriamo ad esempio gli Stati Uniti, il primo prodotto TAD private label è arrivato da Potlatch e adesso anche First Quality Tissue sta entrando nel settore. Visti questi sviluppi, sarà difficile per i prodotti a marchio mantenere lo stesso valore e la stessa quota di mercato. Con i prodotti esistenti al momento, direi impossibile.


PJL: Quale futuro allora per i marchi?

GG: Per sopravvivere, i produttori a marchio devono proporre nuovi prodotti che possano essere difficilmente imitati dai concorrenti. Quindi innovazione e tecnologia ad un ritmo più incalzante. Gli unici mezzi per combattere le catene hard discount sono i nuovi prodotti, un ciclo prodotto più rapido per mantenersi al passo con i tempi, il miglioramento del rapporto qualità/prezzo.

I grandi distributori tendono ad esporre uno o due prodotti a marchio oltre ai propri prodotti private label. Lidl e Aldi non tengono alcun prodotto a marchio.


PJL: La sua ex azienda Georgia-Pacific ha investito molto nel TAD negli ultimi anni: una strategia sbagliata?

GG: Niente affatto, anzi, questo è un esempio di innovazione del prodotto. La G-P ha costruito macchine TAD ma i prodotti che lancia sono asciugatutto ibridi, una combinazione tra TAD e tissue convenzionali. Grazie alle nuove tecnologie sviluppate presso i nostri stabilimenti di Ricerca e Sviluppo in Francia, siamo stati in grado di lanciare un prodotto ibrido di grande successo. Certo non posso raccontarvi come è stato realizzato il prodotto, ma posso dire che anche se era stato provato in precedenza da altre multinazionali del tissue come Scott e SCA, noi siamo stati i primi a farne un successo tecnico e commer-ciale.


PJL: Che importanza ha lo sviluppo del prodotto nel settore del tissue?

GG: Ritengo sia molto importante, l’unico modo per tenere testa alla concorrenza sia per i colossi che vendono prodotti a marchio, sia per le piccole aziende che producono per le private label. E’ importante capire che il ciclo di vita del prodotto si sta riducendo drasticamente. Se 10 anni fa la vita di un prodotto poteva essere di circa 5 o 6 anni, ovvero il periodo necessario ad un concorrente per imitare il prodotto, adesso è ridotta a 2 anni o meno. Guardate ad esempio cosa hanno fatto le aziende toscane: dalla base in Toscana sono cresciute fuori Italia fino a divenire importanti forze del panorama Europeo del tissue. E non credo che si fermeranno qui. Anche se con un certo sforzo finanziario, stanno valutando investimenti nel lungo termine, senza pretese di ritorni immediati. Sono pazienti, perseveranti e abili.

E, per tornare al punto del rapido ciclo del prodotto, credo che adesso stiano non solo seguendo le multinazionali ma anticipando ciò che le multinazionali svilupperanno in futuro. Questo potrebbe ulteriormente accorciare il ciclo del prodotto.


PJL: Quali aziende indicherebbe oggi tra le più lungimiranti?

GG: Tra le grandi, la SCA è da ammirare. Credo che un giorno potrebbe essere l’azienda tissue numero uno. Sono audaci, intraprendenti e sono presenti praticamente in tutto il mondo. Sembra che per le acquisizioni abbiano criteri finanziari molti rigidi, ma ritmi molto sostenuti; inoltre, sono ottimisti per il futuro ma corrono rischi ben calcolati.

Come dicevo ammiro molto anche i toscani: come nel caso della SCA, la capacità di ragionare sul lungo termine li ripagherà.

Dando uno sguardo all’Asia, possiamo affermare che ci sono “toscani” anche in Cina: non toscani veri, certo, ma persone con lo stesso tipo di mentalità. Molti imprenditori stanno entrando nel mondo del tissue in Asia, molti dei quali Taiwanesi di origini cinesi che tornano in patria per aprire un’attività. Credo che in Cina l’attività dei prossimi anni sarà molto fervida.


PJL: Dove vede il maggior potenziale di innovazione del prodotto?

GG: L’innovazione sulla macchina continua è assai difficile. Nel processo produttivo della carta, dagli inizi degli anni ’70 ad oggi è successo poco: il TAD risale agli anni ’60 e così anche il crescent former. Da allora è cambiato ben poco; forse all’epoca si era già così avanti coi tempi che successivamente non c’è stato bisogno di spingersi oltre. Infatti, cosa altro abbiamo avuto?

La shoe press non è ancora un vero successo, la diluizione nella cassa d’afflusso è soltanto un accessorio; e del resto non sono neanche vere e proprie innovazioni, ma vecchie tecnologie riapplicate al tissue.

C’è piuttosto una necessità assoluta di ridurre l’energia nel processo di essiccamento. L’ottimizzazione non è sufficiente, si devono percorrere nuove vie: questa sarà la soluzione. In questa direzione infatti non si è investito a sufficienza, speriamo di assistere a qualche progresso nel futuro.

La KC ha introdotto UCTAD, un prodotto interessante ma non in grado di compiere la svolta.

Sono convinto che la maggior parte delle innovazioni arriverà dal campo della trasformazione: gran parte del valore aggiunto si deve già alla trasformazione, la quale offre moltissime possibilità per cambiare le caratteristiche del prodotto.

Altro motivo per cui l’importanza della trasformazione è in crescita, sta nel fatto che è la fase che offre maggior flessibilità. La macchina continua è fissa, non si può cambiare molto eccetto la fibra. Ma la trasformazione è molto flessibile ed offre la possibilità di combinare diverse tecnologie in modo originale per ottenere caratteristiche uniche. Sta diventando una sorta di “plug and play”, molto modulare.

Tutto questo è importante perché oggi l’unico modo per mettere un nuovo prodotto sullo scaffale è offrire qualcosa dalle caratteristiche veramente innovative. Sono i distributori a decidere quali prodotti vanno sullo scaffale, generalmente quelli che si distinguono in modo più significativo.

Lo svantaggio è che se il prodotto si rivela di successo, subito seguirà un’imitazione private label. Perfino alla GP, KC e SCA, che producono entrambe le tipologie, i manager dei prodotti private label vogliono poter vendere gli stessi prodotti di quelli a marchio.


PJL: Come si gestisce questa situazione?

GG: La regola delle multinazionali è che l’ultima generazione è per i prodotti a marchio, mentre la tecnologia precedente è utilizzabile per i prodotti PL.


PJL: Qual è il ruolo dei fornitori di macchine in tutto questo?

GG: I fornitori di macchine per la trasformazione hanno un ruolo molto importante. A meno che l’azienda non abbia un proprio dipartimento Ricerca e Sviluppo, avrà senz’altro bisogno dell’aiuto del fornitore. Alcuni produttori di macchine da trasformazione, come la Fabio Perini S.p.A., sono molto avanzati nello sviluppo del prodotto e nei servizi offerti. Molti dei prodotti presenti al supermercato sono stati sviluppati proprio in collaborazione con la Fabio Perini S.p.A.

Questo non vale solo per le piccole aziende: anche le grandi stanno tagliando i costi ed uno dei primi tagli riguarda Ricerca e Sviluppo. Le aziende preferiscono investire in marketing e attività commerciali perché danno un ritorno più immediato. Quindi per i fornitori di macchine offrire impianti pilota è un vero valore aggiunto: l’azienda deve sostenere i costi di noleggio, spesso alti, ma il ritorno è più o meno immediato.

Anche le continue pilota sono molto utili. Le multinazionali spendono milioni di dollari presso aziende come la Metso per fare prove prima di avviare una macchina TAD: investimenti notevoli ma di risultato sicuro. E’ un po’ come avere uno staff di Ricerca e Sviluppo altamente qualificato e pagarlo soltanto a part-time pur sfruttandone le potenzialità al 100%.

I vantaggi diventano tangibili al momento dello start-up: premuto un pulsante, tutto funziona. La macchina pilota, infatti, permette di definire tutti i giusti parametri prima dell’avvio della macchina standard; quindi chi effettua prove prima dello start-up risparmia settimane e perfino mesi di tempo. Molti rimangono sorpresi di quanto sia ripida la curva d’avvio e soddisfatti nel vedere un importante progetto entrare in moto a pieno regime.

I produttori di macchine devono essere sempre più in accordo con le esigenze dei consumatori finali e con la distribuzione.

Credo che in passato abbiano avuto una tendenza a concentrarsi soltanto sui propri macchinari con scarsa attenzione ai movimenti del mercato, mentre è assolutamente necessario che comprendano cosa accade nella distribuzione, sugli scaffali del supermercato.

Oggi non sono più GP, K-C, P&G, SCA a condurre i giochi, ma i vari Lidl, WalMart e Aldi. Più il settore della distribuzione è concentrato in mano a pochi, più difficile diventa trovare un buon prodotto a un buon prezzo. Credo che i produttori di macchine da converting lo abbiano capito meglio e prima dei produttori di continue.


PJL: Crede che la trasformazione stia riscuotendo oggi più attenzione ed interesse dall’industria del tissue?

GG: Per anni i produttori di carta hanno vantato una posizione di privilegio rispetto ai trasformatori. Per troppo tempo la macchina continua è stata considerata la parte più importante dell’intero processo; ma adesso, giustamente, le cose stanno cambiando. A dire il vero, oggi a guidare il mercato sono i trasformatori indipendenti.

Anche negli stabilimenti adesso si investe molto di più in trasformazione. In una moderna cartiera il totale degli investimenti è ripartito tra produzione e trasformazione/ packaging nella proporzione di 50 e 50. Si tratta di un importante cambiamento, se si considera che fino ad una decina di anni fa il converting era considerato soltanto un accessorio.

Certo è possibile risparmiare tagliando su alcune automazioni nella trasformazione e nel packaging, ma sarebbe una scelta poco oculata, perché richiederebbe maggior manodopera. Quindi credo che l’investimento in automatismi sia ampiamente giustificato in gran parte del mondo.

E se il mercato non è pronto per un livello di trasformazione e packaging così avanzato, la linea di trasformazione dovrebbe essere ideata in modo che non precluda uno sviluppo futuro.

Dal mio punto di vista, il futuro è nel converting, la maggior parte dei profitti si deve al converting.


PJL: Un’ultima domanda: é coinvolto nel Programma Tecnologia del Tissue che sta nascendo all’Università di Karlstad in Svezia, e cosa ne pensa?

GG: Credo che sia un’ottima idea, che potrà fare da traino alla crescita dell’industria. E’ stato chiesto il mio aiuto per alcuni corsi e ne sono molto contento. Per quanto ne so, non esiste niente di simile al mondo quindi credo che sarà molto interessante vedere come si evolverà. Partirà da una base Svedese, un ottimo punto di partenza, e spero che nel tempo cresca e diventi una risorsa globale per il mondo del tissue.

L’iniziativa è stata di Holger Hollmark e la Metso Paper ha subito offerto il proprio supporto ed il suo impianto pilota di Karlstad.

Sarà una buona opportunità per avvicinare più persone al mondo del tissue e per stimolare nuovi sviluppi; una importante iniziativa che contribuirà alla crescita dell’industria.•

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