"Lo sporco non è né buono né cattivo: è solo una cosa fuori posto e la natura non si preoccupa di cosa ne pensiamo, ma di come ci prendiamo cura di noi stessi al fine della sopravvivenza della specie".
Nico Zardo
"Lo sporco non è né buono né cattivo: è solo una cosa fuori posto e la natura non si preoccupa di cosa ne pensiamo, ma di come ci prendiamo cura di noi stessi al fine della sopravvivenza della specie".Nei fatti la nostra cultura ci porta a dare un valore decisamente positivo a ciò che è pulito proiettandolo in valori morali... mutuati da concetti di origine religiosa o da principi comportamentali convenzionali. (Virginia Smith, Clean, Oxford University Press, 2007).
La necessità per l'uomo di curare l'igiene ha una forte componente istintiva: come perpetuare la specie, procurarsi il cibo, difendersi da pericoli esterni. Fino dalle origini ha segnato le modalità della sua evoluzione nel tentativo di evitare agenti nocivi portatori di malattie infettive. Trenta o quarantamila anni fa i primi abitanti della terra hanno iniziato a subire malattie come il tetano per le piccole ferite, o la rabbia per i morsi di animali. In Africa i cacciatori sono stati probabilmente afflitti dalla malattia del sonno trasportata dalla "mosca tse - tse", un parassita dei grandi branchi di erbivori. Pur non comprendendo le vere origini di questi e molti altri pericoli debilitanti, l'uomo si rese conto che queste "aggressioni" erano legate a luoghi e situazione che, per sopravvivere, doveva imparare a evitarli curando il proprio corpo e scegliendo, attraverso le migrazioni in regioni dai climi temperati e freddi, un ambiente con un minor quantità di parassiti.
Con il Neolitico (circa 10.000 anni a.C.) iniziò per l'uomo il passaggio da una attività di caccia/raccolta a una basata sull'agricoltura e l'allevamento, scegliendo luoghi con disponibilità di acqua, associandosi in gruppi che meglio avrebbero potuto svilupparsi e difendersi. Se da un lato la formazione di comunità organizzate liberò l'uomo dalla minaccia della fame, dall'altro fu portatrice di non poche insidie: l'accumulazione di rifiuti umani e animali erano causa dell'inquinamento dell'acqua e del cibo causando infezioni e febbri. La convivenza a stretto contatto con animali domestici facilitò la trasmissione di malattie.Per molti secoli, e fino alle scoperte scientifiche di metà del IXX° secolo, l'uomo dovette subire la falcidia di malattie ed epidemie imputando le cause a destini avversi o divinità vendicative e riuscì a sopravvivere grazie a progressivi adattamenti biologici, a rimedi naturali, alla modificazione dell'ambiente e all'adozione di pratiche igieniche che allontanavano l'aggressione di microrganismi patogeni.
Dopo il 5000 a.C., con l'affermarsi e consolidarsi di nuove strutture sociali, basate sull'agricoltura e l'allevamento, vengono a formarsi aree di civiltà avanzata con la presenza di città stato in diverse zone dell'Eurasia: in Mesopotamia fra il Tigri e l'Eufrate, in Egitto lungo il fiume Nilo, in India, lungo la valle dell'Indo, in Cina lungo la valle del Fiume Giallo e sulle coste del Mediterraneo.L'abbondanza di prodotti sia nell'agricoltura che nell'allevamento determinano la nascita di commerci sia interni che tra i diversi centri di produzione e l'esigenza di una migliore organizzazione sociale favorisce nella popolazione la nascita di nuove attività. Quindi mentre alcuni restano agricoltori o allevatori altri diventano artigiani, soldati, commercianti, sacerdoti formando una struttura sociale che richiede un capo alla sommità della piramide gerarchica e una classe dirigente che sovraintende alle esigenze comuni della gestione socio-politica e della religione.La formalità esteriore, che differenzia chi detiene potere o ricchezza dagli altri, impone sue regole di rappresentazione sia con la costruzione di palazzi ma anche con la cura dell'abbigliamento e del corpo. Bellezza e aspetto fisico curato diventano dunque elementi sostanziali delle esibizione di un potere che associava nell'immagine la pulizia esteriore alla purezza spirituale e morale, e l'acqua è l'elemento attorno al quale si sviluppa questa cultura.Le pratiche igieniche erano in parte diverse da quelle che conosciamo noi oggi. Vediamo più da vicino le consuetudini in materia che sono all'origine della civiltà occidentale.In "Igiene e bellezza nell'antico Egitto", (Aboca editore, 2005), Alessandro Menghini, docente all'Università di Perugia, compone un quadro molto dettagliato delle abitudini personali di quella popolazione di cui riportiamo alcuni importanti aspetti.
Per le particolari condizioni climatiche in cui vivevano, aride nel deserto e umide sul Nilo, gli antichi egizi ricorrevano al bagno giornaliero come a una pratica necessaria sia per il refrigerio del corpo sottoposto al caldo e al vento, sia per limitare al minimo, e contrastare, l'azione dei parassiti. Era per loro normale lavarsi le mani prima dei pasti, anche perché - per molti secoli - hanno costituito il mezzo per portare il cibo alla bocca. Si pulivano i denti utilizzando bicarbonato di sodio sciolto in acqua. I bagni abitualmente venivano fatti nel Nilo o negli stagni: l'acqua era prima raccolta in grandi recipienti e poi versata sulle mani e su altre parti del corpo. Esisteva anche una specie di doccia, costituita da un setaccio o da un cesto, attraverso il quale veniva filtrata l'acqua. Le case dei nobili disponevano di un bagno, così come alcune abitazioni di lavoratori. Nel palazzo reale, poi, si potevano trovare delle vere e proprie camere da bagno ed esisteva anche il titolo di "capo della camera da bagno". Tutti, sottostavano rigidamente alla regola di radersi di frequente il capo ed il corpo. La cosmesi era importante per l'igiene. Poiché non esisteva il sapone, per mantenere la pelle pulita venivano usate delle terre o dei sali e per ammorbidire le zone da rasare; oli e unguenti venivano sfregati sul corpo per contrastare l'odore della pelle e prevenire gli effetti nocivi del sole o del vento secco.Secondo Erodoto, storico greco del V secolo a.C., "i sacerdoti si radevano il corpo tutti i giorni, in modo tale da essere privi della presenza di pidocchi o di altre impurità, nel momento in cui effettuavano i riti". Le acque del lago sacro del tempio non solo pulivano il corpo, ma purificavano anche "l'anima".Gli uomini si radevano la barba utilizzando dei rasoi, mentre per la depilazione si faceva ricorso ad attrezzi simili alle nostre pinzette. Per migliorare il loro aspetto le donne era abituate a truccarsi il viso. Inoltre, dipingersi le palpebre e le ciglia con polvere di incenso bruciato misto a miele o a resine, possedeva un potere curativo, in quanto costituiva, oltre ad un abbellimento personale, una difesa contro le malattie oculari.
Nell'antico Egitto, l'unzione era pratica comune in quanto di sapore religioso, igienico e salutare, tesa a mantenere giovani i corpi e ad assicurare l'immortalità. La terapia medica ebbe inizio con la scoperta di un'intima corrispondenza tra malattie e benefici ricavati da molti prodotti, in particolare da piante medicinali. Sempre secondo Erodoto, in Egitto vi erano specialisti per ogni tipo di malattia: oculisti, dentisti, internisti, ecc. La malattia, però, veniva attribuita anche ad agenti esterni immateriali, un soffio o un demone, che entrato nel corpo lo perturbava. Gli Egizi avevano un grande spirito di osservazione e sperimentazione e la loro farmacopea andò arricchendosi sempre più di rimedi vegetali, minerali e animali.
Se gli acquedotti costruiti dai Romani costituiscono indubbiamente opere determinanti per lo sviluppo della civiltà, le opere idrauliche realizzate da Sumeri (3000 a.C.) e Assiri (1950 a.C.) in Mesopotamia per portare acqua alle loro città e irrigare i campi non sono state certo da meno. E se già attorno al 2000 a.C. le città della valle dell'Indo, Harappa e Mohenjo-Daro, potevano vantare la presenza di latrine collegate a rudimentali condotti fognari, è nel Palazzo di Cnosso di Creta (1700 a.C.) che gli archeologi hanno individuato il primo wc con sciacquone (vedi a pagina 86) e la prima vasca da bagno della storia. Oltre ai raffinati servizi di dotazione regale, anche la locanda che sorgeva accanto al palazzo era munita di servizi igienici e disponeva persino di un lavapiedi, consistente in un bacino in pietra rettangolare poco profondo, incassato nel pavimento e provvisto di tubo di immissione, sfioratore e foro di scarico con tappo.
Il termine igiene (dal greco hygieine che significa sano, forte) deriva da Igea, figlia del guaritore Esculapio, che nella mitologia greca era indicata come dea della salute. Per i medici greci della scuola di Ippocrate (460-c. 377 a.C.) l'igiene era quella branca della medicina dedicata all'"arte della salute". Il corpo era inteso olisticamente come uno stato dinamico di interazione tra quattro elementi: acqua, terra, fuoco, aria, che corrispondevano ai quattro "umori" che componevano il corpo: la bile gialla e nera, sangue e flegma1 le cui alterazioni avrebbero potuto causare la malattia. L'obbiettivo della pratica igienica era quello di raggiungere un equilibrio qualitativo e umorale all'interno del corpo della persona. Per ottenerlo era necessario rispettare regole riguardo la dieta alimentare, l'esercizio fisico, l'attività sessuale, un giusto rapporto tra sonno e veglia. Particolare cura era messa nell'alimentazione con precise indicazioni che dettagliavano quando fosse meglio mangiare certi tipi di carne o cereali e come fosse più opportuno cuocerli e cucinarli (Ippocrate ci ha lasciato 53 libri sulla scienza medica dell'epoca). Pur basandosi su principi empirici i medici greci erano molto apprezzati per i loro rimedi le cui alternative erano costituite dai rituali di superstizione per placare l'ira degli dei (!).Un importante riconoscimento dell'igiene sociale è contenuto nella Costituzione degli Ateniesi dove Aristotele stabilisce la necessità di un servizio pubblico per la raccolta dei rifiuti urbani che debbono essere scaricati a non meno di due chilometri dai confini della città e dichiara: "Alcuni lavori sono più nobili, ma altri sono più che necessari". Robert Flacelière, professore di letteratura greca all'Università di Parigi, nel suo "La vita quotidiana in Grecia nel secolo di Pericle" (RCS libri S.p.A., 1998), descrive le pratiche igieniche quotidiane dei Greci antichi - che riportiamo in sintesi nel paragrafo successivo - per i quali igiene ed esercizio fisico erano indispensabili alla salute e al benessere.
Pisistrato e i suoi figli, nel VI secolo a.C., fanno costruire ad Atene fontane monumentali dove le donne vanno a riempire la brocca, ma dove chi vuole può fare la doccia mettendosi direttamente sotto il getto. Se la fontana è munita di vasca, il bagno è proibito per evitare il rischio di contaminazioni.Nell'Atene del V secolo si moltiplicano le palestre e i ginnasi, muniti tutti di fontane, di vasche per le abluzioni e perfino di piscine. La piscina circolare del ginnasio di Delfi (quasi 1O metri di diametro interno), profonda quasi due metri, consente di nuotare. Prima di fare il bagno in piscina gli atleti si lavano in vasche collocate sotto le fontane. Anche Socrate, già anziano, si mette a fare esercizio "per tirar giù la pancia, che aveva fuor di misura". Verso la fine del V secolo a.C., al bagno all'aria aperta subentra la stanza da bagno, più confortevole, dove l'arrivo e il deflusso dell'acqua sono assicurati da tubi di piombo.Per le abluzioni parziali e per il bagno dei bambini ci sono bacini e bacinelle rotonde od ovali, di metallo, di terracotta o di legno. Ma la vasca da bagno più diffusa è un grande contenitore circolare, su un piede piuttosto alto, con il basamento svasato e sormontato da un capitello. Queste vasche devono essere riempite e svuotate a mano; l'acqua viene prima scaldata in un paiolo. I bagni caldi, però, sono messi all'indice dai sostenitori del rigore spartano. Verso la fine del V secolo si diffondono ad Atene bagni pubblici dove vasche individuali sono disposte a corona intorno a una sala circolare riscaldata. Il basso costo li rende accessibili anche ai meno abbienti che d'inverno vi trascorrono diverse ore al giorno per riscaldarsi. Al bagno pubblico si va per lavarsi - di regola prima di cena - ma anche per fare quattro chiacchiere con gli amici. In molti bagni pubblici erano previste sale riservate alle donne per lo più appartenenti alle classi povere, alle cortigiane o alle schiave. Le ateniesi della borghesia potevano permettersi di fare il bagno nella loro casa.
Roma, a partire dal III° secolo a.C. fece proprie molte abitudini igieniche dei Greci sviluppandole con la costruzione di acquedotti che, in età imperiale, erano in grado di fornire più di 1.000 litri d'acqua a testa (oggi i consumi delle città europee si aggirano sui 300 litri a testa) e terme che potevano accogliere 1.600 persone, migliaia di fontane, bagni e latrine pubbliche. I medici più quotati erano greci e a loro si rivolgeva chi aveva il dubbio che le malattie non fossero necessariamente una maledizione degli Dei.Gli antichi Romani curavano il proprio corpo quanto bastava alle esigenze della pulizia personale e dell'igiene. "Si lavavano tutti i giorni le braccia e le gambe, per la necessaria pulizia dopo il lavoro; ma solo ogni nove giorni facevano un bagno completo", ci ricorda Seneca.A Roma il bagno caldo quotidiano preso alle terme non era necessariamente un fatto di pulizia personale, era un sollievo fisico che non si negava né ai miserabili, né agli schiavi, e che divenne nella città eterna, ma anche nelle estreme province dell'Impero, il fulcro o il pretesto per un'intensa vita sociale.Le terme pubbliche e private, che aprivano i battenti a mezzogiorno e chiudevano al tramonto, erano considerate un luogo d'incontro quotidiano, dove trascorrere, tra bagni (caldi, tiepidi e freddi) esercizi ginnici e conversazioni, buona parte della giornata. L'iniziale separazione tra uomini e donne, realizzata attraverso la consuetudine di impianti o di orari distinti, scomparve gradualmente sino a essere abolita nel Tardo Impero. Se le dimore private più lussuose si dotarono di attrezzature termali spesso assai elaborate, persino le abitazioni più modeste ebbero non di rado la possibilità di usufruire di impianti "di vicinato": a Ostia Antica sono ancora visibili le strutture adibite a tale scopo, direttamente accessibili da più insulae.Con il declino dell'Impero i centri urbani, sotto la spinta di invasioni, guerre e carestie e pestilenze (la prima comparsa della peste si registra nel 547 d.C., sotto il regno di Giustiniano), iniziarono a spopolarsi. La decadenza delle opere preposte al rifornimento idrico della città, portò all'abbandono anche gli impianti termali. Il cristianesimo impose profondi mutamenti al culto del corpo in nome di un ideale di vita contemplativa che tendeva inizialmente a escludere anche alcune consuetudini igieniche legate, nell'immaginario collettivo, al costume pagano.
1. L'acqua corrisponde alla bile gialla, detta anche collera, e ha sede nel fegato, la terra alla bile nera e ha sede nella milza, il fuoco al sangue la cui sede è il cuore, l'aria alla flemma (o flegma) e ha sede nella testa.
Seneca nelle sue "Epistole" ci ha lasciato una descrizione molto puntuale e colorita di quello che poteva succedere alle terme:
«Abito proprio sopra un bagno; immaginati, un vocìo, un gridare in tutti i toni che ti fa desiderare d'esser sordo; sento il mugolìo di coloro che si esercitano coi manubri; emettono sibili e respirano affannosamente. Se qualcuno se ne sta buono buono a farsi fare il massaggio, sento il picchio della mano sulla spalla, e un suono diverso a seconda che il colpo è dato con la mano piatta o incavata. Quando poi viene uno di quelli che non può giocare a palla se non grida e incomincia a contare i colpi ad alta voce, è finita. C'è anche l'attaccabrighe, il ladro colto sul fatto, il chiacchierone che, quando parla, sta a sentire il suono della sua voce; e quelli che fanno il tuffo nella vasca per nuotare, mentre l'acqua sprizza rumorosamente da tutte le parti. Ma per lo meno questi metton fuori la voce che è la loro. Pensa al depilatore che ogni poco fa un verso in falsetto per offrirti i suoi servigi; e non sta zitto che non quando strappa i peli a qualcuno; ma allora strilla chi gli sta sotto. Senza contare l'urlìo dei venditori di bibite, di salsicce, di pasticcini e degl'inservienti delle bettole che vanno in giro, offrendo la loro merce, ciascuno con una speciale modulazione di voce ».