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Da Santiago ad Atacama. La magia di una terra di confine

Il Cile, come molte delle belle cose che mi sono accadute, è entrato nella mia vita per caso, un pomeriggio della mia infanzia di fine estate.

Sonia Bernicchi

Era l'11 settembre 1973 ed ero in giro in macchina con mio padre. Ascoltavamo la radio quando improvvisamente la musica venne interrotta dal TG che annunciava che il Palazzo della Moneda a Santiago era sotto assedio da ore, che erano iniziati i raid aerei e che non si sapeva ancora che fine avesse fatto il presidente Salvador Allende. Non so che cosa abbia colpito la mia immaginazione di bambina. Sentivo parlare nella realtà di un paese che avevo studiato a scuola, molto lontano dal mio, in un altro continente. Del resto negli anni '70 il mondo non era globalizzato come oggi e le distanze erano reali.

Fu in quel momento che adottai il Cile, da allora ho cominciato a leggere tutto quello che trovavo, a studiarne gli usi e costumi, le tradizioni, la storia. A scuola facevo in modo che delle ricerche di geografia, mi venisse affidata quella sul Cile. Ho imparato a conoscere gli Inti-Illimani e attraverso le loro canzoni ho cominciato ad imparare lo spagnolo, ho scoperto Pablo Neruda ed Elena Serrano. Non avrei mai pensato che un giorno ci sarei andata davvero e che avrei continuato a tornarci spesso, per lavoro e per passione.

Il Cile è un paese magico, variegato dove la cultura millenaria degli Indios convive con quella più recente degli immigrati Europei. E' un paese che nello stesso tempo è così vicino e così lontano.

 

In Cile sono molte le similitudini con uno stile europeo efficiente e professionale che convivono con tratti squisitamente latino americani come l'ospitalità, il calore delle relazioni umane ed il sorriso.Santiago è una città elegante con quartieri ricchi di storia, di cultura e con vari stili architettonici. Da Santiago partono tutti gli autobus che collegano la capitale al resto del Cile. In Sud America l'umanità si sposta in autobus e anch'io sono partita per il Nord su consiglio del mio amico cileno Zarko. Destinazione Deserto di Atacama. Partenza dalla Estación Central. Gente che va, gente che viene, autobus suddivisi in economici, semi cama e salon cama. Attraversare un paese è ben diverso dal sorvolarlo con un aereo.

 

Il paesaggio cambia in continuazione. Dal mare alla vegetazione mediterranea a quella più stepposa, e poi il deserto. Si ha la netta sensazione di vivere un paese fino in fondo, di viaggiare non di spostarsi e di accarezzare le diversità. Arrivo a San Pedro dopo più di venti ore di viaggio. La strada procede diritta nel deserto che in questa parte di mondo non è mai uguale a se stesso. Ora roccioso color tabacco, ora sabbioso bianco, le cime dei vulcani color cioccolato e man mano che si arriva a San Pedro, una distesa salata. Il cielo di un azzurro forte, quasi accecante e le Ande che non ti abbandonano mai. Scrive l'antropologo boliviano Guillermo Francovich: "L'Indio è le Ande e le Ande sono l'Indio, non è solo figlio della montagna, si identifica con lei".

San Pedro è color caffè, con strade bianche, le case di mattoni del colore di Atacama e l'immancabile chiesa davanti alla piazza dove al centro dell'altare c'è la Purissima, la Vergine. La popolazione è Atacameña (Aymar) ossia Indios indigeni che hanno raggiunto gli altopiani andini circa 12.000 anni fa e che vivono oggi di turismo, allevamento di lama e coltivazioni di cereali e patate. La loro storia vive a Tulor, il più antico sito archeologico di tutto il Deserto di Atacama e nel museo di Gustave La Paige. Gli Indios convivono con giovani di Santiago che qui hanno aperto locali alternativi dove si ritrovano i backpackers che vanno in giro per il Sud America. Ma io preferisco cenare sempre nell'unica locanda, che si trova all'inizio del villaggio e la cui proprietaria è Atacameña. Il ristorante è frequentato solo da locali. Pochi piatti accompagnati dal mate de coca che serve a combattere il soroche (forte mal di testa dovuto all'elevata altitudine) e a dimenticare quanto la natura possa essere dura. Ogni sera sono lì e la signora mi accoglie, gentile, con un sorriso. Bastano poche parole ma ci capiamo e l'ultima sera del mio soggiorno a San Pedro mi offre il mate. Io ringrazio per la bella ospitalità.E nei suoi occhi c'è la prova che a volte le parole non servono.

 

A San Pedro si ha davvero la sensazione di essere in un posto lontano dalla civiltà e fedele a se stesso.Non c'è nulla ma c'è tutto. E soprattutto c'è il silenzio e la maestosità del deserto. Da qui ci si affaccia sul Salar de Atacama. Il deserto è duro, le rocce sono taglienti, aguzze, scolpite dal sole e dal vento, e i colori lunari, violacei. Non ha niente a che vedere con la sinuosità del deserto del Sahara. Tracce di piste che portano verso miniere sperdute e le pietre che raccontano la storia delle lotte tra gli Indios e i Conquistadores Spagnoli. Si può camminare per ore senza incontrare anima viva ed il Salar è un luogo che invita a scollegarsi dal tempo, un posto dove decomprimersi, svuotarsi, perdere i riferimenti e giungere al nulla1.

 

E da San Pedro si parte per l'avventura. La laguna salata Chaxa dove i flamencos rosa con le ali arancioni e la coda nera vanno a nidificare dalla Bolivia, le lagune Miscanti e Miñiques a 4.000 metri. Fa freddo ed il vento soffia impetuoso. Camminare a questa altitudine è faticoso, il respiro è corto ma il paesaggio è magnetico: distese di sale, rocce, cespugli, i vulcani sullo sfondo, il cielo così vicino da poterlo toccare.E poi il Salar del Talar al confine argentino (paso del lago Sico), Socaire dove da millenni gli Indios dalla pelle scura e i visi scolpiti dalla durezza del clima, vivono di coltivazioni a terrazza. Sono fieri ed orgogliosi e dicono che "se si vede un bianco, viene dal Cile". Ancora, il saluto al sole, la puesta del sol, rito antico della Valle della Luna, piattaforma di cristalli di sale e di rocce tormentate e Las Tres Marías dove furono uccisi 25 Atacameñi che combatterono contro gli Spagnoli nel 1540. Ma il deserto inaspettatamente offre anche delle piccole oasi che qui si chiamano Terme di Puritana a circa 30 km da San Pedro. I canyon nascondono otto piccole piscine naturali con cascate di acqua vulcanica caldissima. Visto che nel deserto niente è facile e le bellezze vanno conquistate, bisogna faticare un po' e scendere a piedi tra le rocce, ma come sempre, si è ricompensati. Siamo a 3.500 metri non c'è anima viva, non ci sono negozi, quindi è necessario avere con sé viveri ed acqua. Il sole è forte ed accecante e più mi guardo intorno e più mi sembra impossibile. Un canyon arido che nasconde il suo segreto, l'acqua, che ha fatto nascere una splendida vegetazione.

 

Arrivo al confine boliviano accompagnata dal vulcano Licancabur a 4.700 metri. Sulla strada principale che porta al passo Jama in Argentina ci sono strade sterrate che sembrano andare verso il nulla. Il Cile è terra di confine ed io passo quel confine con un sapore di tempi antichi. C'è una sbarra aperta ed una piccola stazione di polizia disabitata. Non c'è nessuno, mi fanno compagnia il soffio del vento gelido e la crudezza del paesaggio. Al di là della frontiera, pochi chilometri e si trova l'incanto della Laguna Verte. La strada principale è una linea retta e quando passano i camion che vanno in Bolivia, Paraguay o Argentina salutano con il clacson contenti di vedere finalmente qualcuno. E lungo la strada ci si imbatte in piccoli mausolei chiamati Animitas che sono testimonianze di incidenti. All'interno ci sono fotografie, rottami della macchina, vetri o oggetti personali appartenuti al defunto. Cerco di immaginarmi come erano da vivi. In questo luogo del nulla è difficile credere che ci siano così tanti incidenti. Il deserto ha la tendenza a cancellare le tracce dell'umanità e le Animitas si impongono come una testimonianza di chi non c'è più ma è passato di lì.

 

E il deserto in realtà non dorme mai. Se si vogliono vedere i Geyser del Tatio bisogna partire di notte. Alle quattro San Pedro è già in fermento. Pullmini e pick up che partono per la Valle del Tatio. La strada è accidentata, piena di guadi e la jeep sembra sospesa nel vuoto mentre va verso il nulla. Per fortuna davanti a me c'è un minibus che involontariamente fa da apristrada, ma gli autisti non vogliono essere seguiti. Sanno la strada e sanno anche che i viaggiatori-fai-da-te non la conoscono e come capiscono che qualcuno si attacca a loro, accelerano con un gran polverone nella speranza di liberarsi dell'inseguitore. Si arriva al Tatio dopo più di due ore e il vapore risalta alle prime luci dell'alba per la differenza di temperatura. Una distesa lunare, sottile, tra i vulcani e una miriade di geyser. La strada sterrata è piena di insidie e va tra i canyon che nascondono villaggi aggrappati alle pareti di gole profonde. Per caso mi imbatto in Caspana, un paesino di 450 anime che si trova in una valle non facile da raggiungere dove si vive di pastorizia e di agricoltura. Mi muovo in punta di piedi per non disturbare la lentezza e la quiete del luogo. Qui il tempo sembra essersi fermato. Le case di mattoni con i tetti di paglia, la chiesa colonica, gli Indios con la tipica bombetta boliviana su cui appoggiano fascine di legname. Bambini dietro il marsupio fatto di fasce di stoffa. Li guardo passare ma non fotografo perché so che non gradiscono. E le vigogne con fiocchi colorati sulle orecchie, mi guardano impassibili.Il mondo del deserto racchiude gli estremi in un'armonia di opposti quasi perfetti. La storia che si mischia alle leggende ed ai racconti di viaggi avventurosi. Binari di treni persi nel nulla che mi ricordano il Longitudinal Norte, il treno più solitario del mondo che attraversa il deserto cileno in quattro giorni. Sarebbe bello fare un viaggio in compagnia dei personaggi dello scrittore Rivera Letelier Hernan che salgono e scendono dal treno durante il suo surreale tragitto: una chiromante accompagnata dalle sue erbe magiche e talismani, un cantastorie cieco, due sorelle impiccione, una coppia di innamorati tuffati in un bacio interminabile.

 

"Le carrozze polverose sferragliano una dura litania interminabile chiedendo che il calore non scoraggi la locomotiva, che i miraggi azzurrini in cui annegano le rotaie d'acciaio in lontananza non la ingannino con le loro lagune illusorie e morta di sete, non si fermi come un animale schiattato nel bel mezzo di queste infinite distese desolate. I pali del telegrafo, correndo intermittenti all'indietro, tagliano simmetricamente il paesaggio e i ricordi."2

Ma questo deserto lunare offre anche lati delicati come racconta Luis Sepulveda in "Le rose d'Atacama". "Ogni anno il 31 marzo, piove per mezz'ora e questa pioggerellina è sufficiente a far fiorire il deserto, a tingerlo di rosso con i milioni di piccole rose di Atacama, fiorellini che resistono poche ora prima di essere incenerite dal sole". Non provo nostalgia, tristezza o sgomento nell'infinito del deserto di Atacama tanto è misterioso. Mi fa pensare invece a come è facile scomparire nel niente e attraversare questo spicchio di mondo tuffato nel silenzio, mosaico di colori, di vulcani, di cactus, di cristalli e di durezza può essere, forse, una metafora della vita che ci porta ad incontrare la parte più autentica di noi ma anche quella più melanconica.

 

IL MONDO DEGLI AFFARI. Il CILE, COSI' VICINO E COSI' LONTANO. Ho cominciato a lavorare in Cile alla metà degli anni '90. Un ordine importante mi ha catapultato dall'altra parte del mondo. Felice di trovarmi nel paese che avevo amato dall'infanzia, quasi incredula di stare di fronte al palazzo della Moneda, incuriosita dalla città di Santiago, con il mio spagnolo castellano mi sono trovata subito a mio agio nel paese più lungo del mondo. Ancora oggi per me è sempre una gioia andare in Cile e ormai non mi sembra nemmeno più così lontano come prima. Sarà anche per i bei rapporti umani, di amicizia e di stima creati nel tempo con i nostri collaboratori e clienti.

 

Lo stile cileno è sicuramente più europeo rispetto al resto del Sud America e ciò è dovuto alla preponderanza di Europei immigrati in Cile ma il lato Sud Americano si fa comunque sentire. I Cileni sono molto cordiali e affabili. Il saluto più comune è "l'abrazo" e un bacio sulla guancia. Ogni volta è bello per me ritrovare clienti che sono contenta di rivedere. E i Cileni, come noi, amano il contatto e guardare direttamente ed intensamente negli occhi dell'interlocutore e parlare da vicino, al contrario degli Americani e dei Nord Europei che non amano molto il contatto fisico e mantengono una differenza di spazi di almeno 70 cm.Non mi posso dimenticare la visita ad uno stabilimento importante di un mio cliente dove sono stata accolta dalla bandiera italiana che sventolava all'ingresso degli uffici ed un meraviglioso e caloroso messaggio di benvenuto. Piccoli ma grandi gesti che danno l'idea che un rapporto di lavoro non è fatto solo di aspetti puramente commerciali ma si basa su stima, professionalità e fiducia da entrambe le parti.

 

Parlare spagnolo indubbiamente aiuta. Non è solo un vantaggio da un punto di vista professionale. Il parlare la stessa lingua crea empatia ed apre orizzonti di unione. Attenzione all'uso di alcuni termini che in Sud America possono avere un significato diverso. Ad esempio, in questa parte del mondo, per dire prendere bisogna usare "tomar" e"agarrar" ma mai "coger" parola che qui ha un risvolto sessuale. Una cosa importante da ricordare in Cile come nella maggior parte del Sud America è che le relazioni umane sono la chiave per il successo. I Cileni cercano rapporti non un accordo di affari.Preferiscono avere a che fare con le persone non con una struttura impersonale. Prima di affrontare una qualsiasitrattativa si parla di sé, della famiglia, di quello che è successo nel lasso di tempo in cui non ci si è incontrati edi tratti che contraddistinguono le negoziazioni sono l'informalità e la cordialità.Nonostante abbia più volte sentito che il Cile sia un paese con un'impronta un po' maschilista, per quanto mi riguarda non ho avuto problemi. Mi sono trovata, unica donna, in riunioni tecniche o pranzi in stabilimento con decine di ingegneri, direttori di produzione, direttori commerciali e mai le mie competenze professionali sono state messe in discussione.

 

Le negoziazioni sono sempre improntate al rispetto, al dialogo e guidate da una seria professionalità. È importante far visita ai clienti. I Cileni vi faranno sempre sentire i benvenuti e a poco a poco si creerà quel legame di simpatia, fondamentale in Sud America, che rafforza i rapporti anche professionali. E' meglio non programmare visite nei mesi di gennaio e febbraio che in questa parte del mondo corrisponde al nostro luglio e agosto, quindi tempo di vacanza. Come dice il mio amico Zarko, in Cile il 31 dicembre è davvero la fine dell'anno. Le scuole chiudono per la pausa estiva e si parte per le vacanze.

 

Come in tutti i Sud del mondo, vale la regola della non-aggressività durante le trattative. I Cileni sono diretti e molto professionali nel loro approccio ma essere troppo aggressivi e spingere verso una rapida chiusura dell'affare non porta niente di buono. Sono importanti la flessibilità ed il compromesso che dimostrano che il valore della relazione è più importante dei soli aspetti commerciali della trattativa. Diplomazia e pazienza sono punti essenziali. I Cileni non amano dire di "no" e la controparte non deve mai cercare di strappare un "no". Ci vuole tempo per costruire relazioni commerciali solide e non cercate di confrontare errori, problemi e questioni varie con discussioni dirette e aperte perché in Cile questo approccio non funziona.Il Cile è un paese meraviglioso ed i Cileni sono aperti, ospitali e socievoli. Lo scambio umano, culturale e commerciale è interessante ed è fonte di arricchimento personale e se ci si pone nei confronti di questo paese con curiosità e disponibilità, si rientra a casa con la sensazione di avere imparato qualcosa di nuovo e che si possono fare affari in un modo diverso ma sicuramente più umano e molto più soddisfacente.

 

1. Marcela Serrano - Dieci Donne. Feltrinelli, agosto 2011.

2. Rivera Letelier Hernan, I Treni vanno in Purgatorio, Guanda 2001.

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