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L’innovazione, non sempre una piacevole novità

Innovare – sul lavoro e nel tempo libero - è la quintessenza della società globale in cui viviamo.

E certamente l’importanza di intraprendere attività innovative è entrata a far parte del mantra degli osservatori della realtà economica, dei politici di professione e degli operatori. Ma proprio l’uso così generalizzato della parola rischia di farci perdere di vista alcune utili distinzioni di base utili a capire i frequenti ritardi osservati nella sua adozione.

 

Francesco Daveri

Conviene cominciare con una definizione. L’innovazione è il risultato di attività specifiche intraprese all’interno di un’organizzazione allo scopo di predisporre e sviluppare nuovi prodotti o servizi oppure nuovi processi produttivi e tecnologici che accrescano l’efficienza nell’utilizzo delle risorse all’interno dell’organizzazione stessa.

Una prima distinzione semantica è che innovazione e novità non sono la stessa cosa. Nel suo manuale di Oslo, l’OCSE (Organization of Economic Cooperation and Development) – l’agenzia intergovernativa che ha, tra l’altro, il compito di incoraggiare gli Stati aderenti ad adottare definizioni mutualmente consistenti quando misurano i fenomeni economici - definisce attività innovative “tutti gli step scientifici, tecnologici, organizzativi, finanziari e commerciali che conducano all’attuazione dell’innovazione”. Se ne deduce che alcune attività innovative (cioè introdotte allo scopo di innovare) sono esse stesse innovative, dal punto di vista dei processi richiesti per la loro attuazione o del loro impatto sulla realtà circostante. Ma altre attività innovative non appaiono (e dunque certamente non sono) nuove per gli utenti.

 

SI PENSI ALL’USO DEI COMPUTER. Il loro contributo (certo innovativo!) al miglioramento della possibilità di fare calcoli è noto all’umanità fin dal 1939. Ma fino agli anni settanta, i calcolatori erano “cervelloni” chiusi in grandi stanzoni aziendali che comunicavano con l’esterno solo con schede perforate compilate da una casta di tecnici di laboratorio.

L’automatizzazione (nella raccolta, immagazzinamento, elaborazione e gestione dei dati) dei servizi contabili di un’azienda era un ‘attività confinata al back-office della stessa, priva di un impatto sul modo di lavorare degli impiegati dell’azienda e dei suo clienti. Ma poi sono arrivate l’automazione nelle fabbriche e i personal computer sulle scrivanie di ognuno. Il CIM (Computer Integrated Manufacturing) ha modificato radicalmente l’attività di impresa, consentendo un’enorme aumento nelle possibilità di variare la qualità dei prodotti e dei servizi e di adeguarli alle esigenze del cliente (“customizzazione”) e richiedendo servizi sempre nuovi e aggiuntivi ai fornitori. Grazie all’informatica distribuita (e connessa ad Internet), gli acquirenti hanno poi potuto elaborare testi e fare calcoli, ma anche acquistare libri, fare la spesa del supermercato e, addirittura, disegnare il proprio personal computer con le caratteristiche desiderate direttamente dall’ufficio o da casa.

 

SIA ALLA BASE DELLA PRIMA CHE DELLA SECONDA FASE DELLA RIVOLUZIONE TECNOLOGICA DELL’ICT C’È SEMPRE STATA LA LEGGE DI MOORE, cioè il fenomeno di crescente miniaturizzazione che ha portato a moltiplicare il numero di transistor in ogni semiconduttore e a ridurre drasticamente il costo di produrre “derivati” dei semiconduttori come appunto i computer. Come diceva efficacemente Gordon Moore, il fondatore di Intel: “Se l’industria automobilistica fosse progredita alla stessa velocità dell’industria dei semiconduttori, una Rolls-Royce farebbe più di 200 mila chilometri con un litro, e sarebbe più conveniente buttarla via che parcheggiarla”. Ma, vale la pena di ricordarlo, è solo nella seconda fase della rivoluzione dell’ICT, quella dell’automatizzazione e dell’informatica distribuita, che abbiamo cominciato a parlare di Società dell’Informazione.

 

C’È UN ALTRO ASPETTO DELL’INNOVAZIONE FREQUENTEMENTE OSCURATO DALLA RETORICA DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE. L’innovazione non è sempre una manna dal cielo; anzi. Di frequente, l’introduzione di innovazioni provoca costi per qualcuno e benefici per qualcun altro. Un’innovazione come l’uso di Windows come sistema operativo soddisfa un bisogno precedentemente soddisfatto in altro modo (rende più semplice l’accesso ad un PC anche per chi non conosce i comandi del sistema operativo Ms-Dos), ma lo fa rendendo obsolete competenze richieste in un passato non troppo lontano (l’abilità di programmare in Dos). In generale, un’innovazione solitamente spiazza i concorrenti del produttore innovativo i quali, dunque, tenderanno ad opporsi alla sua introduzione, se ne hanno la possibilità. Se non possono farlo, cercheranno di imitare l’innovatore così da ridurre i suoi profitti e il suo vantaggio competitivo.

Capire che l’innovazione non è sempre una novità e che, se è una novità, le sue conseguenze non sono sempre apprezzate da tutti è di importanza cruciale per capire come avviene il processo innovativo e per quale ragione, in molti paesi, nonostante la sua conclamata utilità sociale, l’adozione dell’innovazione avvenga spesso con molta, molta lentezza. •

 

Francesco Daveri, professore di Politica Economica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Parma e docente a contratto presso il programma MBA della Business School dell’Università Bocconi di Milano, è un esperto nell’analisi delle dinamiche di crescita nei paesi europei. Nelle sue ricerche ha analizzato, con un approccio comparato, le implicazioni della rivoluzione tecnologica indotta dall’ICT per la crescita della produttività nell’Unione Europea e negli stati degli Stati Uniti. Sugli stessi argomenti, ha anche pubblicato articoli su casi paese paradigmatici per i loro successi (Finlandia) e per i loro fallimenti (Italia). I suoi articoli sono stati pubblicati per lo più su riviste internazionali specializzate di ambito economico. Ha però anche pubblicato due libri in italiano e occasionalmente steso o contribuito alla stesura di Policy Report per conto di varie società italiane o estere e di istituzioni pubbliche come la Commissione Europea, la Banca Mondiale e il Ministero per l’Economia dell’Italia.

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