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I sistemi di gestione della sicurezza: una opportunità di miglioramento anche per il settore tissue

La storia dei sistemi di gestione della sicurezza è più lunga di quanto potrebbe credere chi si accosta oggi al settore.

Se in Europa la comunità nel 1989 (direttiva 89/391/CEE) proponeva una direttiva che prefigurava chiaramente l’adozione di sistemi di gestione della sicurezza, le aziende anglosassoni già dagli anni ’60 cercavano di capire quale fosse la strada migliore per gestire la sicurezza dei propri lavoratori (in particolare in settori ad alto rischio quali raffinerie, acciaierie ecc.).

 

Alessandro Mazzeranghi – MECQ S.r.l.

Il principio, che l’Europa continentale capì solo più tardi, era il seguente: le attività lavorative, nell’ambito industriale, sono necessariamente esposte a rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori che non possono essere totalmente eliminati tramite misure tecniche; pertanto oltre ad adottare tutte le misure tecniche possibili, le aziende devono provvedere ad organizzare il lavoro in modo che i rischi siano tenuti sotto controllo. In quest’ottica, quindi, il compito di una azienda in materia di sicurezza può essere riassunto con uno slogan tipo quello di Konecranes (azienda leader nel settore del sollevamento, anche nel mondo delle cartiere), espresso dalla alta direzione del gruppo: I want everyone at Konecranes to feel that they can arrive home in good health after a working day (voglio che ognuno in azienda sia confidente che arriverà sano a casa dopo un giorno di lavoro). Semplice, vero? No, semplice da dire ma non da fare.

 

SARÀ IL CASO DI FARE UNA SECONDA PREMESSA: chi è abituato a trattare di sistemi di gestione della qualità (ISO9000) o ambientali (ISO14000) ha la necessità di mettere sotto controllo un certo numero di processi critici che coinvolgono una parte delle attività lavorative dell’azienda. Detto in altri termini: le possibilità di errore sono limitate. Nel campo della sicurezza, invece, chiunque si muova in un contesto industriale può, in ogni momento, fare un piccolo errore che può avere gravi conseguenze sulla sicurezza sua o delle altre persone presenti. Le opportunità di errore sono quindi assai più numerose, e le attività da mettere sotto controllo sono molte.

Pensiamo al ciclo del tissue per fare qualche esempio: chi movimenta la cellulosa col carrello elevatore può investire un camionista che porta la materia prima; chi opera sulle passerelle di macchina continua può scivolare e cadere; chi carica le bobine sulla ribobinatrice usando un carroponte può essere schiacciato dalla bobina stessa; chi passa la carta su una macchina da rotoli può subire un inrunning nip fra due rulli in movimento; chi movimenta i pallet di prodotto finito a magazzino può… Potrei proseguire per pagine e pagine. In pratica, se si escludono le aree adibite a ufficio dove i rischi non sono molto diversi da quelli che abbiamo a casa nostra, chiunque si muova in azienda, anche con semplice ruolo di supervisore, è esposto a qualche rischio, e alcuni di questi rischi sono a gravità elevata, come dimostra il fatto che in cartiera e cartotecnica gli infortuni mortali siano ancora piuttosto frequenti.

 

PERCHÉ UN SISTEMA DI GESTIONE DELLA SICUREZZA? Ma allora, se il contesto è così complicato, perché addentrarsi nel mondo dei sistemi di gestione della sicurezza, invece che limitare l’azione al mero rispetto della conformità legale? Astraendo dalla questione morale (che ci sentiamo di dare per acquisita) ci sono altre importanti considerazioni che spingono chi deve attuare un risk management a livello direzionale a prendere in seria considerazione la tematica della sicurezza sul lavoro:

 

• Le prescrizioni legali, praticamente in ogni parte del mondo, si fanno sempre più stringenti e le responsabilità crescono per manager e aziende1.

• Il costo di gestione di un evento infortunistico è molto elevato, anche perché nella maggior parte dei casi sono coinvolti i vertici dell’azienda. È possibile che si verifichino sequestri di parti di impianto o altri eventi che rallentano la produzione e ritardano le consegne.

• Gli acquirenti, almeno in Europa e Nord America, sono sensibili al tema della sicurezza sul lavoro e penalizzano le aziende che vengono percepite come poco corrette; evidentemente per chi produce un proprio brand questa considerazione pesa non poco.

 

Quest’ultimo punto si sviluppa ulteriormente, anche per chi produce a marchio del distributore, osservando come l’attenzione degli acquirenti si stia progressivamente spostando sulla supply chain, a cui il mercato richiede i medesimi requisiti dei produttori di brand. Ormai diversi anni orsono Naomi Klein pubblicò “No Logo”, che si propone come denuncia del comportamento poco limpido di diverse multinazionali nel corso degli ultimi anni del secolo scorso2. Oggi certi comportamenti non sono più accettati dal mercato, e ne è prova anche l’attenzione sempre più forte che i distributori stanno ponendo al tema della sicurezza nel corso degli audit di qualifica dei fornitori. Un caso particolarmente evidente è quello di Ikea che da molti anni effettua audit ai propri fornitori (compresi quelli di Tissue) dando la prevalenza al tema della sicurezza.

(al seguente indirizzo si scarica lo standard richiesto ai fornitori:

http://www.ikea.com/ms/de_AT/about_ikea/social_environmental/iway_standard.pdf ).

Quindi la risposta al quesito con cui si è aperto il paragrafo potrebbe essere: per le aziende che vogliono crescere sul mercato globale la non sicurezza è ormai un rischio inaccettabile. Dunque servono dei sistemi per controllare i rischi, che convenzionalmente si definiscono Sistemi di Gestione della Sicurezza (Health and Safety Management Systems).

 

COSA È UN SISTEMA DI GESTIONE DELLA SICUREZZA. Veniamo al pratico, evitando di fare tediosi riferimenti normativi, ma parlando della reale organizzazione/operatività delle aziende. Per potere affermare di avere sotto controllo, a un livello ragionevole e conosciuto dal management, il “problema potenziale” della sicurezza, sono necessari alcuni punti chiave.

Paradossalmente la prima cosa è che il management ci creda (perché poi deve spingere e investire per ottenere dei risultati), e subito dopo che riesca a fare percepire questa convinzione a tutti i lavoratori. Sarà un fatto italiano ma la sfiducia dei lavoratori rispetto ai proclami della direzione è estremamente radicata (ed è un notevole ostacolo al miglioramento); evidentemente la situazione cambia da azienda ad azienda e, per motivi non del tutto spiegabili, pare che il livello di sfiducia sia più elevato in cartotecnica che in cartiera (anche quando sono parte del medesimo sito industriale).

Se si instaura un clima di fiducia, allora si può cominciare a lavorare... e di lavoro da fare, se si parte da una condizione di pura conformità legale, ce ne è davvero tanto!

Prima cosa da fare: stabilire chi fa cosa in materia di sicurezza; prendiamo la cartiera che spesso è organizzata con un responsabile che lavora sul turno giornaliero, e un gruppo di capi turno che coprono il ciclo continuo. In questa situazione: chi deve impartire istruzioni? Chi deve verificare l’operato dei lavoratori? Chi deve tenere i rapporti con la manutenzione (sempre determinante sugli aspetti di sicurezza)? Chi può autorizzare modi di lavoro specifici per situazioni eccezionali? Sono domande semplici a cui è necessario dare una risposta precisa, anche tenendo conto delle prescrizioni di legge che, almeno in Europa, definiscono piuttosto specificamente quali aspetti devono essere tenuti sotto controllo3.

Parallelamente bisogna affrontare il problema della valutazione dei rischi; la valutazione dei rischi, che è stata a lungo sottovalutata in molti paesi della UE e, entro certi limiti, anche in Nord America, è la chiave per avere una visione precisa della sicurezza in azienda; una valutazione superficiale o incompleta impedisce di avviare le attività di miglioramento della sicurezza e di controllo dei rischi effettivamente necessarie, orientando gli investimenti in direzioni sbagliate e fornendo alla direzione una visione distorta della sicurezza in azienda. Essendo questo il punto di partenza gli errori si pagano; ma sarebbe anche sbagliato esagerare, andando ad effettuare una valutazione estremamente raffinata e complessa che però richiede tempo e consente di definire un piano di azione concreto solo dopo lunghi studi. Purtroppo in queste attività l’esperienza è determinate; non esistono regole, se non estremamente generali, mentre si può dire che ogni azienda ha il suo giusto compromesso per la valutazione dei rischi. In questo le azioni di benchmark sono determinanti: una macchina da rotoli da cucina di un determinato costruttore ha, per il 90%, gli stessi rischi di una macchina simile di un costruttore diverso: sapendo cosa guardare è anche più facile percepire le differenze che spesso, pur essendo piuttosto difficili da individuare, sono invece determinanti per la sicurezza. Peccato però che il benchmark possa avvenire, in pratica, solo nei grandi gruppi; quindi vediamo una miriade di Responsabili del Servizio Prevenzione e Protezione (o Safety Manager secondo una terminologia diffusa a livello internazionale) che ricominciano da capo ogni volta... Importante, comunque, è raggiungere un risultato concreto che consenta di definire un piano di azione preciso per il miglioramento della sicurezza.

 

COSA È UN PIANO DI AZIONE? Niente più di una tabella, approvata dalla direzione, in cui si identificano le azioni di miglioramento, chi è responsabile e chi collabora a tali azioni, una scadenza e le risorse messe a disposizione per attuare tali azioni.

Fra le azioni di miglioramento sono anche comprese le misure di controllo dei rischi, ovvero quell’insieme di procedure e di istruzioni operative che cercano di garantire che ogni attività esposta a un rischio sia regolamentata in modo adeguato. Le istruzioni operative, spesso derivate da modi di lavoro già in atto in azienda, migliorati tramite una attenta analisi di sicurezza, dovranno essere più o meno specifiche in funzione, anche, del livello di competenza e capacità del personale impiegato. È prassi comune che il personale di manutenzione, ritenuto esperto, abbia meno regole del personale di trasformazione, anche se le attività di manutenzione sono più complesse e, spesso, più pericolose.

Al di sopra delle istruzioni operative si trovano le così dette procedure, ovvero tutte le regole che più che su un dettaglio operativo si concentrano sul modo di funzionare della organizzazione. Per esempio la procedura di gestione delle emergenze, quella di gestione dei lavori in appalto ecc.. Si tratta di documenti che, in relazione a processi critici per la sicurezza, cercano di definire ordinatamente le regole di gestione dei medesimi.

Ed arriviamo a un punto importante: bisogna ben chiarire che tutte le regole che la azienda decide di stabilire devono essere “vere”, ovvero attuabili, credibili, non di intralcio ai normali processi produttivi; solo così è poi possibile pretenderne l’applicazione. Per esempio pulire dalla polvere di carta in cartiera, specialmente nella zona secca, è fondamentale per evitare rischi di incendio e, addirittura, di esplosione. Se però il compito di pulire viene affidato a personale che è già impegnato in altre attività è improbabile che la pulizia avvenga; se invece il compito è affidato a personale che, durante il turno, può trovare il tempo necessario, è importante che si chiarisca la frequenza della pulizia, i mezzi da utilizzare ecc.. Inoltre non dimentichiamo che se i nostri turnisti puliscono a terra e sulle infrastrutture della macchina, qualcuno dovrà pulire sopra le cappe, sulle vie di corsa del carroponte, sul carroponte stesso ecc.. Credo che si capisca già da questo piccolo esempio che sviluppare istruzioni operative realistiche non è lavoro da poco.

Infine l’ultimo punto, che è poi uno dei principali cardini dei SGS (Sistemi di Gestione Sicurezza): il controllo sull’operato di tutta la azienda, dall’organizzazione ai singoli operatori. Semplificare parlando di audit ci pare inopportuno. Si tratta di molto di più, ed è bene espresso dalle disposizioni legislative italiane che, una volta tanto, risultano complete su questa materia (e dalle quali prendiamo spunto per qualche considerazione). Vediamo con ordine; devono essere messe in atto:

 

• Una vigilanza sul rispetto da parte di tutti i dipendenti (dirigenti, preposti e lavoratori) delle procedure e delle istruzioni operative vigenti in azienda. Tale vigilanza deve essere primariamente svolta dai superiori diretti, ma può essere supportata da altri enti (per esempio dal Servizio Prevenzione e Protezione).

• Un sistema di controllo volto alla verifica della idoneità e della efficacia del SGS in funzione delle caratteristiche dell’azienda, dei rischi specifici e dei mutamenti tecnico organizzativi che possono intervenire in azienda. Preferibilmente tale controllo deve essere svolto da soggetti indipendenti ed autonomi che rispondono direttamente al Consiglio di Amministrazione, in quanto gli esiti dei controlli possono presentare considerevoli impatti a livello organizzativo, e talvolta possono fare emergere problemi anche a livello di dirigenza.

• Un sistema di controllo simile al precedente ma volto alla verifica dell’effettiva applicazione delle regole di sicurezza stabilite. È facile verificare, anche sulla carta, l’applicazione delle procedure a carattere organizzativo; è indispensabile, però, verificare che siano rispettate anche le istruzioni operative più... operative.

 

Vale la pena di precisare un particolare sgradevole: è evidente che parte integrante della vigilanza è l’adozione di idonee misure contro chi, a qualunque livello, infrange le regole stabilite. Si possono scegliere modelli ibridi, che comprendano anche aspetti premianti e motivazionali, ma resta il fatto che gli inadempienti devono essere in qualche modo penalizzati per non scoraggiare chi si sforza per rispettare le regole.

 

CONCLUSIONI. Come si può capire da queste brevi osservazioni si tratta di un panorama complesso, fortemente caratterizzato da un approccio di risk management a livello direzionale; è evidente che non esisterà mai una azienda tissue assolutamente sicura, ma è importante che i rischi presenti siano noti e controllati ad un livello conosciuto e condiviso dalla alta direzione, che poi risponde alla proprietà/agli azionisti del risultato complessivo dell’azienda che oggi comprende anche il rispetto di principi etici, il mantenimento del buon nome dell’azienda, il contenimento dei costi e la crescita della competitività sui mercati.

Se uno di questi elementi manca si viene a determinare un’azienda sbilanciata e dunque poco adatta a sopravvivere sul mercato globalizzato; per questo è importante gestire tutto con un approccio ordinato, che è quello dei SGS.

Ultima nota ad ulteriore precisazione: avrete capito che questo articolo non si rivolge tanto agli specialisti di SGS, che sono esperti del tema, ma piuttosto ai manager che li devono sponsorizzare. Senza il coinvolgimento del management, e il conseguente coinvolgimento reale di tutto il personale, i SGS sono e restano solo carta.

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