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Carbon footprint: passo dopo passo verso un fronte comune

È ora di prendere la carbon footprint sul serio, dichiara Bengt Wiber di Södra Cell, anche perché l’industria del tissue potrà solo trarne vantaggio.

Bengt Wiberg, Business Development Manager alla Södra Cell

Quando l’informazione diventa “troppa” informazione? Tutti coloro che pensano che la quantità di informazioni stampate su una normale confezione di veline multiuso abbia già oltrepassato questa soglia devono prepararsi al peggio. La confezione di veline che ho di fronte a me indica dove è stata prodotta, le dimensioni di ogni velina, le dimensioni di tutte le veline contenute nella scatola messe insieme, il numero di veli di ognuna, la categoria di riciclaggio e la certificazione della foresta da cui è stata ricavata la fibra di legno. Fornisce inoltre un elenco di ingredienti perché questo prodotto è arricchito con lozione (dermatologicamente testato, ovviamente, un altro simbolo ancora), recando, inoltre, un gentile invito a gettare il prodotto nel bidone della spazzatura una volta utilizzato (presumo intendano le veline, la scatola naturalmente dovrò riciclarla).

Eppure queste preziose informazioni dovranno stringersi per far spazio ad una nuova, la carbon footprint, un dato statistico fondamentale che finirà per avere la meglio su tutto il resto.

La carbon footprint ha lo scopo di valutare l’impatto di un prodotto sul mondo circostante, e potrebbe rendere molte altre informazioni sull'ambiente ridondanti agli occhi del consumatore. La carbon footprint è destinata ad essere vista dal pubblico dei consumatori come un’unica, semplice informazione attraverso la quale essi saranno in grado di valutare il grado di compatibilità ambientale di quanto stanno acquistando.

Quindi, anche se la carbon footprint potrebbe sembrare l’ennesima ondata dell’inarrestabile marea d’informazioni che ci sommerge quotidianamente, si tratta in realtà di un'etichetta da prendere sul serio, sia in qualità di produttori sia in qualità di fornitori dell’industria del tissue.

 

BASSA? CHI L’HA DETTO? Esistono già delle etichette carbon footprint. La forma di un piede con la dicitura “Low Carbon Footprint” (bassa carbon footprint) avrebbe potuto benissimo essere impressa su uno dei vostri recenti acquisti. Ma cosa significa “Low Carbon Footprint”? “Bassa” secondo chi? “Bassa” rispetto a cosa? Tale etichettatura potrebbe rappresentare poco di più di un’operazione temporanea, l'appropriazione indebita di un termine prima che esso acquisti un vero significato. Tutti gli altri simboli utilizzati sui prodotti possono essere quantificati o qualificati. Le dimensioni dei fazzolettini sono misurabili, le fonti di materia prima verificabili. Anche la carbon footprint è misurabile e verificabile, ma senza standard di misurazione ampiamente riconosciuti, il simbolo carbon footprint equivale a poco di più di una dichiarazione soggettiva, che potrebbe solo essere definita fuorviante se confutabile. E come si fa a confutare qualcosa se non si hanno prima le prove per dimostrarlo?

Basta con le disquisizioni filosofiche: fra non molto i consumatori apriranno gli occhi sulla vaghezza dell’etichettatura carbon footprint e i gruppi ambientalisti pretenderanno giustamente dei chiarimenti nonché l’approvazione ufficiale di ogni affermazione sulla carbon footprint.

Molti cervelli alla Södra sono stati impegnati a definire le dimensioni della carbon footprint aziendale o, ancora più importante per il futuro, gli strumenti corretti per misurarla. Più ci siamo addentrati nell'argomento, più abbiamo compreso quanto sia complicato rispondere. La carbon footprint di un prodotto potrebbe essere vista come il bilancio tra le emissioni e la rimozione di gas serra (trasferimenti da e verso l’atmosfera). Ma, come per molte altre cose, esistono diversi modi di calcolare la carbon footprint che fanno al proprio caso. Affinché il calcolo abbia un senso, tuttavia, deve essere applicato universalmente, tutti devono utilizzare le stesse unità di misura.

 

ACCORDIAMOCI. Esistono molti strumenti diversi per analizzare e quantificare l’apporto di carbonio di vari prodotti e servizi, compresi i profili di prodotto, le valutazioni sul ciclo di vita e le cosiddette carbon footprint. Ma, in assenza di un approccio standardizzato a livello europeo e in risposta al numero crescente di richieste da parte dei consumatori di carta di una chiara dichiarazione sulla carbon footprint di ogni prodotto, la CEPI (Confederazione Europea delle Industrie Cartarie) ha elaborato il proprio quadro di riferimento per i prodotti in carta e cartone basato su dieci elementi chiave, che rappresentano le “dieci dita” della carbon footprint. In base a questo quadro di riferimento, le aziende e i settori saranno in grado di orientare le proprie esigenze individuali e aiutare l’industria a contribuire al dibattito sulla politica da adottare, fornendo un’informazione chiara e coerente per poter prendere delle decisioni in tutti i paesi e le aree. Noi della Södra intendiamo utilizzare il metodo CEPI e speriamo che questo diventi lo standard industriale.

Siamo fiduciosi che l’industria del legno abbia delle buone argomentazioni, perché le foreste assorbono carbonio, quindi abbiamo una possibilità concreta di essere neutrali al riguardo. Naturalmente ciò deve essere dimostrato. Sempre più clienti chiedono la nostra carbon footprint, anche perché stanno cercando di calcolare la propria.

L’attrattiva della carbon footprint è anche l'origine della sua complessità. Si tratta di una valutazione sull’impatto ambientale virtualmente onnicomprensiva, ma la molteplicità degli elementi che contribuiscono alla carbon footprint la rendono incredibilmente specifica e complicata da calcolare.

La carbon footprint dovrebbe essere una buona notizia per l’industria del tissue perché ha una bella storia da raccontare. La materia prima più importante del tissue è la cellulosa, sia che si tratti di materia prima originaria sia che si tratti di materia prima basata su carta riciclata. Alla Södra siamo in grado di coprire autonomamente il nostro fabbisogno energetico, tanto che di recente abbiamo registrato un'eccedenza in questo campo. Facciamo sempre meno uso di carburanti fossili, dal momento che la nostra fonte principale di energia è rappresentata da biomassa. È una grande notizia per i produttori di tissue.

La produzione di energia da biomassa fa bene alla coscienza e all’ambiente, ma la carbon footprint, come la qualità, ha senso sul mercato solo se si può misurare. È esattamente quello che stiamo facendo e suggeriamo che tutte le aziende di tissue facciano lo stesso. Probabilmente ciò porterebbe alla luce anche i miglioramenti da apportare e potrebbe anche generare delle efficienze. Ma potrebbe anche produrre buone notizie per il nostro settore.

 

 

Fai attenzione all’impronta che calpesti

 

L’immagine dell’impronta è decisamente appropriata per spiegare una delle principali difficoltà riscontrate nella misurazione della carbon footprint. Così come un’impronta sovrapposta a un’altra non lascia traccia, è molto facile incorrere nell'errore del doppio conteggio quando si misura la carbon footprint. Pensate all’impatto ambientale complessivo di un prodotto come una staffetta sulla spiaggia, dove ogni passo lascia un’impronta. Ciascun anello della catena fino all’arrivo del prodotto sul mercato prende parte alla gara sulla spiaggia: il fornitore di cellulosa passa il testimone al produttore di tissue, il produttore di tissue al converter, il converter al distributore e così via. Il trucco sta nel sapere in che punto viene passato il testimone e nel non attribuire passi in più ai concorrenti. È inoltre importante che tutti i cronometri siano sincronizzati, in altre parole che tutti effettuino le misurazioni con lo stesso criterio.

Come industria soffriamo di invisibilità. Dovremmo considerare il tissue come un prodotto con notevoli opportunità di valore aggiunto, ma il pubblico che legge i media lo vede come un prodotto da acquistare e dimenticare: non puoi farne a meno, ma non sei veramente interessato ad informarti su di esso. Diventiamo visibili per i motivi sbagliati, di solito associati all’attaccamento emotivo delle persone per le foreste o alla mancata comprensione dei benefici a lungo termine che si accumulano quando il legname è utilizzato come risorsa economica. La Svezia sfrutta appieno le proprie risorse forestali per fabbricare qualsiasi tipo di prodotto, eppure, anno dopo anno, finisce sempre per avere più alberi da legname a dicembre di quanti ne avesse a gennaio. Non è una notizia che si verifica, ma fa sicuramente la differenza quando si tratta di calcolare la carbon footprint.

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