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Dentro la mente di Greenpeace

Greenpeace è forse l'ONG (Organizzazione Non Governativa) ambientalista più nota al mondo.

Hugh O‘Brian 

Fondato nel 1971 nella provincia canadese della British Columbia, il gruppo è attualmente presente in ben 40 paesi. Oggi Greenpeace è particolarmente conosciuta nel settore dell'economia forestale anche per via delle sue numerose - e spesso discusse - campagne di alto profilo a favore della tutela delle foreste. Perini Journal ha incontratodi recente Scott Paul, responsabile della campagna per le foreste di Greenpeace USA, discutendo con lui svariati argomenti.

 

Scott Paul si presenta come una persona brillante e appassionata mentre ci spiega di essere con Greenpeace da 13 anni e che prima ha lavorato per altri gruppi ambientalisti, trascorrendo persino un anno alla Casa Bianca nell‘ufficio per le politiche ambientali di Bill Clinton. Qui descrive il suo lavoro e il suo impegno con Greenpeace.

 

"Per Greenpeace, uno dei principali vantaggi comparativi è la sua dimensione internazionale. Poiché gli Stati Uniti sono per tradizione il maggiore importatore di prodotti forestali al mondo - dal legname per costruzione e compensato alla pasta e alla carta, ai pavimenti in legno, ai mobili e agli strumenti musicali - tendo a concentrare molto la mia attenzione sulle importazioni. Gli USA importano tutto ciò dai quattro angoli del globo. Gli uffici di Greenpeace situati nelle regioni in cui tali beni vengono consumati, come gli USA, lavorano a stretto contatto con le regioni in cui i beni vengono prodotti, in modo da tracciare il prodotto in tutto il suo percorso, dal tronco allo scaffale del negozio."

 

"Facendo un passo indietro, a livello globale, Greenpeace intende stipulare accordi a favore delle foreste che considera più importanti, e più in pericolo, sul pianeta. I gruppi locali che si trovano, per esempio, in Amazzonia, Indonesia o Canada, trascorrono anni a documentare la situazione del luogo - chi abbatte gli alberi, quali sono le specie ricercate, chi sono i proprietari dei terreni, qual è il contesto culturale, ecc. In generale, tendiamo a focalizzarci sugli operatori che secondo noi adottano una condotta più distruttiva o addirittura illegale in una determinata regione. Condividiamo tali informazioni tramite il nostro network globale e poi tracciamo il prodotto, spesso attraverso tutto il globo, fino ai mercati.

Può essere un processo molto lento, noioso e che richiede tempo, ma quando siamo pronti a rendere pubblici i risultati delle nostre ricerche, siamo sicuri di quello che diciamo".

"A un certo punto, le persone come me, che si trovano nelle regioni di consumo, arrivano a preparare un documento che mette in relazione le compagnie di taglio scorrette che agiscono in una determinata parte del mondo con gli importatori, i grossisti e i rivenditori che si trovano da un‘altra parte. Di solito, inviamo lettere alle compagnie così individuate, organizziamo incontri diretti e fondamentalmente diciamo: «Lo sapevi che stai comprando da una persona che a sua volta compra da un‘altra persona che si sta comportando molto male? Posso dimostratelo!»"

 

"Produciamo le prove, un po‘ come in tribunale. Descriviamo in che modo i rapporti d‘affari di una società stanno danneggiando l‘ambiente oppure violando le leggi in una regione di foreste minacciate o magari stanno addirittura ledendo diritti umani, poi chiediamo: «Vuoi essere associato a queste persone?». La reazione più frequente può essere di due tipi: o ti dicono «Grazie, non ce n‘eravamo resi conto» e lavoriamo insieme per porre rimedio alla situazione, oppure dicono «Non sapete di cosa state parlando, tutto è a posto qui», e ci chiedono di andare via."

"Di questi tempi, è assolutamente necessario affrontare seriamente questo tipo di questioni. Importare prodotti forestali illegali oggi è un reato. Abbiamo il Lacey Act qui negli USA, una nuova legislazione in Europa e non siamo troppo lontani dal traguardo nemmeno in Australia. In molti casi vi è addirittura il coinvolgimento di organizzazioni criminali. L‘Interpol, l‘organizzazione di polizia internazionale, sta gestendo i reati contro l‘ambiente in maniera molto seria. Crimine chiama crimine, e le persone coinvolte nel taglio illegale di alberi, per esempio, sono spesso coinvolte anche nei traffici di armi o droghe. Se sapesse, quale grossista o rivenditore vorrebbe essere coinvolto in tutto ciò? Non sto parlando della maggioranza del legno e della fibra sul mercato, ma sono cose che succedono e i consumatori hanno il diritto di sapere."

 

Quali sono i trend dell‘economia forestale che osserva oggi? "Mi interessa la pasta. Se guardiamo ai mercati della pasta oggi, la situazione non è poi così controversa. Regna un cauto ottimismo sul fatto che si stia andando nella giusta direzione. In Nordamerica, abbiamo il recente accordo sulle foreste boreali canadesi, che sta raccogliendo il consenso su oltre 72 milioni di ettari di foreste pubbliche concesse in licenza a 21 compagnie di taglio in tutta l‘area boreale canadese. Nella zona meridionale del Sudamerica, le compagnie sembrano muoversi verso pratiche di maggiore sostenibilità o perlomeno ci sono aperture in tal senso. Dalla Scandinavia al Canada e al Brasile, i mercati della pasta sembrano prendere sul serio lo standard FSC (Forests Stewardship Council) e cercano di dialogare di più con le ONG. Non dico che non vi siano più problemi, ma, su scala globale, si tratta di un periodo interessante e credo che vi siano reali opportunità di progresso, se la gente continuerà su questa strada fino in fondo. Ma naturalmente c‘è sempre l‘eccezione."E qual è l‘eccezione? "Sul mercato della pasta, la drammatica eccezione globale è rappresentata dall‘Indonesia, con cui l‘attrito è al massimo storico su temi quali deforestazione, rapida conversione delle aree forestali e mutamenti climatici. Non mi sorprenderebbe se la situazione peggiorasse a breve termine. Il tasso di conversione è sconcertante. Aree che fino a poco tempo fa erano foreste tropicali primarie vengono ora abbattute e sostituite con piantagioni di palma da olio o specie a crescita rapida per la pasta e la carta."

"Il risultato è che l‘Indonesia è oggi il terzo paese al mondo per le immissioni di carbonio nell‘atmosfera, dopo la Cina e gli USA. La gran parte delle immissioni di carbonio è causata dalle operazioni di drenaggio e incendio di torbiere e foreste pluviali tropicali. Le foreste torbiere hanno un‘incredibile capacità di immagazzinare carbonio e quindi le imprese indonesiane le stanno drenando, bruciando e trasformando in piantagioni monocolturali. E questa pasta sta abbattendo i costi dei produttori più responsabili del mercato globale."

 

La posizione di Greenpeace è di generale opposizione all‘economia forestale? "No. Il mondo ha bisogno dei prodotti delle foreste. Non siamo assolutamente contro l‘economia forestale, ma vogliamo assicurarci che venga gestita in maniera sostenibile. Oggi viene immesso più carbonio in atmosfera a causa della deforestazione che dall‘intera flotta globale di mezzi di trasporto, incluso macchine, aerei, treni, navi e bus tutti insieme. La misura più veloce ed efficace in termini di costi che l‘umanità può adottare per ridurre le nostre emissioni di carbonio è fermare la deforestazione e cominciare invece a ripristinare le foreste."

 

Cosa volete che faccia l‘industria del tissue riguardo alle foreste? "Ogni situazione, ogni azienda fa storia a sé, ma tutte devono fare riferimento a tre concetti fondamentali.

1. Vi sono alcuni luoghi dove non è possibile approvvigionarsi, luoghi del pianeta che dovrebbero essere lasciati intatti. Le ragioni possono essere di natura ecologica, sociale o culturale. Esistono dei metodi per stabilire se una determinata area forestale deve essere classificata come ‘minacciata‘ o ‘ad alto valore di conservazione‘. Non comprate da persone che operano in queste aree.

2. Comprate dagli operatori responsabili. Se comprate fibra proveniente dalle foreste, approvvigionatevi in maniera responsabile. Non è molto difficile stabilire se si sta trattando con una società o una regione che richiede maggiore diligenza da parte vostra. Oggi, in tutto il mondo, siamo perfettamente in grado di valutare la responsabilità grazie alla certificazione FSC. Per farla breve, comprate prodotti certificati FSC. Se non sono in quantità sufficiente, allora date un chiaro e serio segnale per esprimere pubblicamente la vostra preferenza a favore del marchio FSC.

3. Usate fibre riciclate, rigenerate e alternative. In definitiva, perseguite una maggiore efficienza."

 

Se vi accorgete che un‘azienda tissue non prende sul serio le vostre argomentazioni, come fate a esercitare pressione su di essa? "La risposta alle nostre analisi e ricerche può essere molto varia. Alcune adottano un atteggiamento impegnato e cominciano a esaminare la loro catena di fornitura e le nostre accuse specifiche. Insomma, vi è un seguito e un dialogo costruttivo. Di solito, non è difficile riconoscere la sincerità. Dall‘altra parte, quando ti trovi di fronte a un muro, puoi avere la tipica risposta «Senti, ragazzo, ho fabbricato questo prodotto per tutta la vita e non c'è alcun tipo di problema». A un certo punto, Greenpeace deve prendere una decisione ragionata, valutando se proseguire o meno su una certa strada. Si tratta di effettuare un‘analisi di "potenza", dobbiamo chiederci se intervenire per modificare quella determinata azienda e i cambiamenti da attuare sul campo. Se la risposta è ‘sì‘, allora lanciamo una campagna per fare pressione sull‘azienda e spingerla ad adottare una politica di approvvigionamento più avanzata e sostenibile, come abbiamo fatto di recente con Kimberly-Clark."

 

Ritenete che state facendo progressi? "Abbiamo condotto una campagna contro K-C per circa cinque anni e nell‘agosto 2009 abbiamo annunciato insieme una nuova politica di approvvigionamento che naturalmente è ‘best in class‘. È incoraggiante osservare con quanta serietà l‘azienda ha intrapreso il nostro accordo reciproco. Ci incontriamo periodicamente per discutere sfide e opportunità allo scopo di implementare tale politica. In Greenpeace, ci piace dire che non abbiamo ‘né amici né nemici per la vita‘, ma devo riconoscere che, ad oggi, sono davvero colpito positivamente dall‘atteggiamento di K-C. Hanno una buona politica, la prendono seriamente e dovrebbe essergli riconosciuto. Ma per ogni esempio positivo come K-C, posso trovarne uno corrispondente di ‘lavare col verde‘ (greenwash), cioè un‘azienda che fa una bella e accomodante dichiarazione, che poi non si traduce in null‘altro che uno status quo. Succede talmente spesso che una nuova ondata di attivisti mira proprio a smascherare le ipocrisie del greenwash marketing."

 

Cosa differenzia Greenpeace dalle altre ONG? "Non prendiamo soldi dalle aziende né dai governi e questa è una grande differenza rispetto a molte altre ONG perché ci permette di essere totalmente indipendenti nelle nostre analisi. Inoltre, in termini di mentalità e notorietà, siamo decisamente molto internazionali rispetto ad altri. Abbiamo volutamente un approccio molto coordinato, in maniera tale che, se decidiamo di lavorare in una determinata regione, l‘Indonesia per esempio, affrontiamo i vari argomenti su scala nazionale e continentale, mettendo in fila le risorse a nostra disposizione.

La decisione finale di Greenpeace, tuttavia, viene presa dall‘ufficio del paese e non da qualcuno che magari è dall‘altra parte del pianeta."

Oggi Greenpeace è meno radicale e più ‘convenzionale‘ rispetto al passato? "No, non credo che siamo cambiati tanto, sono piuttosto i temi su cui ci concentriamo oggi a essere più ‘convenzionali‘ di quanto non lo fossero un tempo. Per questo, forse, veniamo percepiti in modo diverso."

"Greenpeace nasce fondamentalmente dal movimento pacifista di fine anni 60 e inizio anni 70, con una parte delle prime radici derivate dalla tradizione dei Quaccheri. Il concetto Quacchero della testimonianza, per esempio, insegna che, se assisti a un atto atroce o criminale, hai l‘obbligo morale di non voltarti dall‘altra parte e di testimoniare per dire poi anche ad altri quello che hai visto. Anche il teorico della comunicazione Marshall McLuhan ha influenzato il nostro movimento, divenuto forse più famoso per l‘espressione ‘il mezzo è il messaggio‘. Metti insieme tutto questo e comincerai a capire Greenpeace. Noi portiamo la nostra testimonianza superando i limiti tecnologici della comunicazione, che si tratti di video, di internet ecc., per diffondere il messaggio, per far emergere il problema.

Nonostante il battage pubblicitario, non siamo mai stati contro l‘economia o il capitalismo, ma vogliamo smascherare i cattivi attori del business e della politica. Questo è il nostro ruolo nella società. Dunque, non credo che siamo diventati più ‘convenzionali‘, ma forse non siamo nemmeno mai stati così radicali: ci limitiamo a mettere a nudo la verità, così come la vediamo noi."

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