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Incredibile India

Di cosa è fatta l'India di oggi? Ancora non lo so, ma è la domanda che mi pongo ogni volta che viaggio nel sub-continente indiano. Esiste ancora l'India degli dei, della spiritualità, del tempo antico e sacro dei templi, dei Sadhu?

Sì, esiste ancora, ma la Casa Madre dell'Assoluto di cui parla Giorgio Manganelli nel suo libro Esperimento con l'India convive oggi tra forti contraddizioni, con incredibili cambiamenti che vanno davvero veloci: città trasformate in distese di grattacieli, centri commerciali di lusso, stupefacenti caffè italiani dove si può bere un ottimo cappuccino, traffico asfissiante.

Auto moderne e grintose sfrecciano ovunque, costrette a frenare bruscamente e in sequenza di fronte agli autobus stracarichi di passeggeri, ai tuk-tuk, ai carretti, ai motorini, alle biciclette e infine alle mucche, del tutto indifferenti a questa frenesia.Storia e magia, fascino e bellezza convivono con un caos vitale e originale quale è quello indiano.

Le realtà percepite sono tante e per cercare di capire almeno un frammento di questo paese forse bisognerebbe mettersi in cammino. Come dice Folco Quilici: se vuoi capire veramente l'India, devi camminarla. Passare attraverso la lentezza dei villaggi, le campagne solitarie, le città frenetiche aiuta a comprendere come l'India possa far coesistere tutto e il contrario di tutto: speranza e rassegnazione, antichità e modernità, spiritualità e tecnologia.È un'India fatta di tanti strati e questa è la sua meraviglia.

 

Sonia Bernicchi

Calcutta. Ogni volta che ci vado mi sorprende. È una città accogliente e ospitale, dove i templi millenari convivono pacificatamene con palazzi e monumenti ereditati dall'epoca del colonialismo britannico. E Calcutta è India. Ovunque una moltitudine di gente trasuda energia e ha un'anima speciale e generosa, se si riesce a vedere oltre la miseria, la vita di strada, l'inquinamento e il traffico senza respiro.

Ogni volta la trovo cambiata: nuovi e luccicanti edifici, hotel di lusso, costruzioni di strade. Solo il Gange scorre imperturbabile accompagnando lentamente la vita quotidiana della gente. Anche Calcutta rientra nello stupefacente miracolo indiano di cui oggi tanto si parla.

Seduta sui gradini del Victoria Memorial mi guardo intorno: i giardini davanti a me, molti turisti indiani nei loro abiti e turbanti coloratissimi, quando improvvisamente rimango ipnotizzata da un edificio che si staglia, potente, poco lontano: c'è una grande scritta, Tata Steel, che si erge con forza e vigore. Ecco l'India moderna, l'India degli imprenditori di successo. Capitani d'industria innovatori che si muovono su scenari internazionali e si sono fatti conoscere nel mondo attraverso acquisizioni globali, a volte eclatanti. Dinastie del capitalismo indiano, un microcosmo di famiglie che detiene un macrocosmo economico.

Tata, la più antica, Mittal, Birla, Ambani: famiglie che operano nei settori più diversi e con successo.

Tra queste c'è anche la famiglia Thapar, cui appartiene il gruppo che porta lo stesso nome e di cui si parla raramente. Un tempo grande, oggi ancora più forte e in continua espansione grazie al suo Presidente e Amministratore Delegato, Gautam Thapar. L'impero fondato da suo nonno Karan Chand Thapar (che ha attraversato nel corso degli anni periodi non sempre felici) è stato rinominato Avantha e raggruppa aziende che operano nei campi più svariati: dall'alimentare al chimico, dall'energetico al cartario. Bilt è il nome della divisione cartaria che, forte di un fatturato di 600 milioni di dollari, è il produttore di carta da stampa e di carta da lettere più importante dell'India. Dal 2004 Avantha ha cominciato la sua scalata a livello internazionale attraverso acquisizioni di aziende in Belgio, Ungheria, Malesia, Irlanda; e nuovi investimenti sono nell'aria.

 

Molto è già stato scritto su Gautam Thapar: dei suoi studi negli Stati Uniti, dei suoi inizi all'interno del gruppo, della sua carriera. Apparentemente sembrerebbe facile essere un Thapar. Viene da pensare che tutto possa arrivare facilmente. Invece non è così. Non dev'essere stato facile per questo giovane imprenditore cominciare a lavorare per il gruppo sapendo che il successore di suo zio Lalit Mohan Thapar era già stato scelto. E credo anche che sia stato altrettanto difficile emergere in un tale sistema accentratore e di stampo quasi feudale. Ma i risultati arrivano per colui che sa aspettare. Quando ha avuto la possibilità, Gautam Thapar ha dimostrato la sua professionalità. È stato capace di passare da un rigido schema familiare a qualcosa di più globale e flessibile, con un management meno tradizionale. Tutto questo è accaduto senza parlare troppo, senza farsi pubblicità, pienamente in accordo con il caratteristico low profile che lo contraddistingue da sempre.

Personaggio schivo e riservato, è rimasto nell'ombra affrontando sfide difficili e interessanti: dalla ristrutturazione del gruppo, che su sua decisione è stato diviso in singole aziende per gestire al meglio le esigenze diversificate di ogni ramo di attività e arrivare a costruire nel tempo una nuova realtà di gruppo, alla sua globalizzazione.

Ha qualità che lo rendono un leader indiscusso nel gruppo Avantha: la capacità di rischiare, di cambiare rotta quando è necessario e di prendere decisioni rapide, libero da ogni sentimentalismo. Confida fortemente nelle capacità del singolo individuo e riesce a creare team motivati che credono in ciò che fanno. Sa ascoltare, è paziente, autorevole, ma non autoritario ed è sempre aperto a nuove idee. E poi ha un carisma innato. Il successo personale di Gautam Thapar è oggi riconosciuto da tutti ed è ampiamente meritato. Oggi ha nuove sfide da affrontare e progetti molto ambiziosi, ma sono certa che questo giovane imprenditore centrerà i suoi obiettivi come ha sempre fatto e che in futuro sentiremo molto ancora parlare di lui e del suo gruppo.

In questa intervista, concessa in esclusiva al Perini Journal, Gautam Thapar ci parla di sé e della sua filosofia, sia aziendale che di vita.

 

PERINI JOURNAL (PJL): C'È QUALCOSA IN CUI L'AVANTHA GROUP NON È COSÌ ECCELLENTE COME POTREMMO PENSARE? IL SUO GRUPPO HA MANCANZE O DIFETTI E COME VI COMPORTATE PER RIMUOVERLI?

GAUTAM THAPAR (GT): L'Avantha Group avrà sempre delle eccellenze e dei difetti. Ciò accade semplicemente perché sia l'eccellenza che i difetti sono dei bersagli mobili e possono coesistere. Appena ti convinci di star per raggiungere un'eccellenza o per migliorare in un tuo difetto, un altro bersaglio compare. Sia gli affari che l'organizzare il lavoro degli altri sono attività dinamiche: nessuno dovrebbe mai pensare che non ci sia più niente da migliorare. L'Avantha Group ha un suo sistema di valori: il gruppo stesso, la sua leadership e i risultati raggiunti devono rifletterli. Siamo un gruppo giovane, ma con all'interno anche compagnie più vecchie. Ci consideriamo ancora come un lavoro in corso.

 

PJL: C'È UN ERRORE CHE NELLA SUA STORIA IL GRUPPO HA FATTO, MA CHE ALLA FINE SI È RIVELATO UTILE O INTERESSANTE?

GT: Circa 20 anni fa siamo entrati nel business della produzione di materiale leggero da costruzione (realizzato con la cenere volante). Questo accadeva molto tempo prima che si cominciasse a parlare di riscaldamento globale, prima che l'argomento cambiamento del clima diventasse di moda. Purtroppo non facemmo abbastanza analisi di mercato prima di fare l'investimento.

Sfortunatamente, risultò essere troppo presto. In ogni caso, per una ragione o per un'altra, decidemmo di perseverare con il prodotto, modificandolo e innovandolo (oltre che riducendone il costo). Oggi è un business che cresce, risultando molto remunerativo. Ed è anche di moda!

 

PJL: DOV'È CHE I VOSTRI CONCORRENTI NON POSSONO REALMENTE COMPETERE CON VOI? QUAL È, IN QUALSIASI CAMPO, IL VOSTRO VALORE AGGIUNTO, CONFRONTANDOVI CON LORO?

GT: Le ragioni per cui, in effetti, spesso non possono competere sono molte. Vanno dalla varietà dell'offerta di prodotti che abbiamo alle conoscenze e alla tecnologia che mettiamo nel fabbricarli, dalla profondità e dalla penetrazione del nostro marketing e della nostra distribuzione all'innovazione che portiamo nel nostro modello di business. Siamo davvero in continuo cambiamento: spesso presentiamo nuovi prodotti o introduciamo innovazioni commerciali. E tutto questo riducendo costantemente i costi.

 

PJL: COS'È CHE DI SICURO L'AVANTHA GROUP FARÀ NEL MONDO DEL TISSUE E COS'È CHE DI SICURO NON FARÀ? E NEGLI ALTRI AMBITI IN CUI IL GRUPPO OPERA?

GT: Il tissue in India si sta sviluppando ora, perciò ha ancora volumi molto ridotti. Nel crescere, richiederà azioni commerciali di forte impatto e l'introduzione di marchi validi. Noi indiani abbiamo abitudini igieniche che necessitano di un forte cambiamento per poter permettere al mercato di espandersi velocemente e di penetrare a fondo. Certo non accadrà alla svelta. È per questo che non ci saranno a breve investimenti in macchinari o in impianti.

 

PJL: C'È UN AMBITO, O UN'AZIENDA, DA CUI TRAE ISPIRAZIONE?

GT: In India le aziende che operano nel settore cartario non possono possedere terre per piantare alberi. Noi abbiamo innovato il modello di business, permettendo ai coltivatori di crescere gli alberi (su nostri ordinativi), per poi essere pagati ogni anno, invece che quando l'albero è pronto. Siccome gli alberi sono resistenti, i coltivatori sono ben protetti dai capricci del meteo o da quelli di chi presta loro i soldi. Vedono così chiaramente aumentata l'opportunità di migliorare la condizione propria e della propria famiglia. Il potere di influenzare così tante vite, facendo del bene anche all'azienda, dà un meraviglioso senso di soddisfazione.

 

PJL: HA MAI SEGUITO UN MODELLO DI SVILUPPO OCCIDENTALE E PENSA CHE VE NE SIANO ALCUNI CHE POSSONO ESSERE ESPORTATI IN ORIENTE?

GT: È difficile dire cosa sia un modello di sviluppo occidentale. I paesi occidentali adottano versioni differenti di democrazia e capitalismo. Credo che ci sia sempre qualcosa da imparare dagli altri paesi, foss'anche soltanto per evitare gli errori che essi hanno già commesso. Ma, in fondo, il modello di sviluppo scelto prenderà sempre un percorso che rifletta la cultura, le attitudini e la società in cui lo si vive. Per noi è difficile scegliere una via occidentale, tanto quanto lo è imporre un modello a un paese.

 

PJL: COSA CONOSCE E AMA DELL'ITALIA?

GT: La Toscana, il cibo, la stagione tra maggio e settembre, le persone, così amichevoli e calde; e poi il loro stile impeccabile.

 

PJL: PENSA CHE L'INDUSTRIA DOVREBBE DARSI DEI LIMITI? SE SÌ, QUALI SONO?

GT: Se si sceglie il capitalismo e la democrazia di stampo occidentale, allora i limiti li danno la Costituzione che si adotta e le regole che si mettono in atto. Ma ci devono sempre essere dei controlli sul potere, perché non sia assoluto, sullo sfruttamento dei deboli e dei meno fortunati da parte dell'industria e sui comportamenti che vanno contro la legge. La rivoluzione nelle comunicazioni del ventesimo secolo ha lasciato il suo impatto anche sul ventunesimo. Ora siamo molto più creativi, ma abbiamo meno tempo per reagire. C'è davvero poco tempo per pensare.

 

PJL: PENSA CHE GLI ESSERI UMANI DOVREBBERO LIMITARE SE STESSI? E CI SONO DELLE MISSIONI SUPERIORI CHE OGNUNO DI NOI DEVE COMPIERE?

GT: Che domanda complessa! Limitarci: che cosa si intende, quale ne è il contesto? Personal-mente credo che dovremmo servire il fine superiore di aiutare i meno fortunati. Non solo facendo beneficenza, ma anche dando loro il modo di guadagnarsi da vivere, di reggersi in piedi da soli e di sviluppare quel rispetto di se stessi e quella sicurezza che inevitabilmente risultano da tutto ciò.

 

PJL: COME IMPRENDITORE, COME AFFRONTA LE DIFFERENZE TRA OCCIDENTE E ORIENTE: COME UN OSTACOLO O COME UN'OPPORTUNITÀ? E PERCHÉ?

GT: Le differenze di cui parla sono un'opportunità, non un ostacolo. La possibilità di vivere altre culture, e di imparare da esse, occidentali od orientali che siano, aiuta molto negli affari. Apre la mente e rimuove gli stereotipi che abbiamo riguardo agli altri. Abbiamo molto da offrirci reciprocamente, anche se non lo comprendiamo immediatamente!

 

PJL: LAFILANTROPIA NON E' SOLO DARE AGLI ALTRI, E' UN PROGETTO, UN MODO DI VIVERE: COME CONCILIA IL SUO ESSERE UOMO DI SUCCESSO CON IL SUO ESSERE IMPRENDITORE FORTEMENTE IMPEGNATO IN QUESTIONI SOCIALI? 

GT: Credo che si dovrebbe avere la forza di contribuire all'avanzamento della società, di restituire parte di ciò che si ha indipendentemente dal fatto di essere un imprenditore o un professionista, uno studente o una casalinga. È nostro dovere farlo. Non c'è contraddizione tra successo e obblighi verso la società, come, del resto, non c'è nemmeno connessione. Dovremmo essere capaci di donare in qualsiasi modo ci sentiamo di farlo.

 

PJL: LA THAPAR UNIVERSITY È TRA LE PIÙ IMPORTANTI SCUOLE DI INGEGNERIA INDIANE: COM'È NATA E QUALI OBIETTIVI SI PONE?

GT: La Thapar University fu fondata più di 50 anni fa da mio nonno, su invito del governo del Punjab. Da allora l'Università si è attenuta al suo programma di preparare ingegneri e scienziati che siano capaci di costruire l'India. Questo è ciò che ci prefissammo di fare ed è ciò che tuttora vogliamo fare. Non ci siamo discostati da lì nemmeno durante il periodo di massima intensità del terrorismo nel Punjab; e neanche adesso, che ospitiamo 4000 studenti.

 

PJL: CREDE NELL'ISPIRAZIONE, IN UNA SORTA DI SESTO SENSO O IN QUELLE STRANE SENSAZIONI SENZA SPIEGAZIONE?

GT: Credo che tutti abbiamo una voce interiore. Alcuni lo chiamano sesto senso, intuizione, altri ispirazione, fortuna. Indipendentemente da come la si chiami, è importante imparare ad ascoltarla e a farsene guidare, sebbene non ciecamente. Il grande scrittore brasiliano Paulo Coelho descrive tutto ciò nel suo libro L'Alchimista. In molte occasioni è la nostra mente a fare da limite.

 

PJL: L'INNOVAZIONE, COME LA VITA, PUÒ PROCEDERE IN DUE MODI: UNO È QUELLO RIVOLUZIONARIO, CHE DÀ GRANDI SPINTE VERSO IL CAMBIAMENTO; UNO È L'ASSESTAMENTO CONSEGUENTE, QUANDO CIOÈ L'INNOVAZIONE, SE C'È STATA, DIVENTA DISPONIBILE PER TUTTI. QUESTO CHE VIVIAMO ADESSO È UN MOMENTO DI RIVOLUZIONE O DI ASSESTAMENTO, SECONDO LEI?

GT: Attualmente siamo in momento di rivoluzione. La causa è forse da ricercarsi nell'information technology, nella potenza di calcolo dei processori e nelle telecomunicazioni. Sfortunatamente, la classe dirigente non ha ancora messo a punto un sistema di governo che impedisca alle rivoluzioni di consumare se stesse. La velocità con cui le cose cambiano rende tutto più difficile. Eccola, è questa la sfida che ci si porrà davanti nei prossimi anni.

 

PJL: SEGUENDO LO STESSO RAGIONAMENTO, PENSA CHE IL TISSUE STIA ORA VIVENDO IN INDIA IL SUO MOMENTO RIVOLUZIONARIO O SIA IN UN PERIODO DI ASSESTAMENTO?

GT: Il tissue è ben lontano dal vivere una rivoluzione, in India!

 

PJL: QUAL È IL SUO DIFETTO POSITIVO, QUELLO CHE PUÒ ANCHE SEMBRARE UN PREGIO?

GT: Non ne ho idea. Credo di avere molti difetti. Se siano buoni o meno dipende dalla prospettiva con cui li si affrontano. La mia cultura e la filosofia religiosa dell'Induismo mi danno un insieme di valori; la società, attraverso la sua morale e le sue leggi, me ne dà un altro. Io cerco di vivere considerandoli entrambi come dei confini entro cui restare.

 

PJL: CI SONO DIFFERENZE TRA CIÒ CHE FA E CIÒ CHE DICE?

GT: Generalmente no. Ciò che si vede è ciò che si ottiene! Ho reputazione di uomo diretto e onesto. Diciamo che nessuno mi scambierebbe mai per un diplomatico!

 

PJL: E TRA LEI E IL SUO RUOLO CI SONO INVECE DIFFERENZE?

GT: No, non ne vedo. Ma forse sono la persona sbagliata cui fare questo tipo di domande. Chi lavora con me o coloro che mi conoscono da tempo potrebbero rispondere di sicuro meglio.

 

PJL: COM'È NOTO, LEI È UN APPASSIONATO DI GOLF: RIESCE A TROVARE AFFINITÀ TRA UNA PARTITA A GOLF E LA COMPETIZIONE CHE C'È NEL MONDO DEGLI AFFARI?

GT: Nel golf si gareggia contro se stessi e contro il percorso. Ci sono tanti modi di giocare una buca, tanti quanti sono i diversi modi di arrivare al successo negli affari e nella vita. Nel golf, devi solo avere la sicurezza di poter eseguire il colpo che vuoi quando lo vuoi; nel business, ci vuole la sicurezza di perseguire la strategia prescelta. Quindi: sì, le similitudini ci sono.

 

PJL: QUAL È IL SUO HANDICAP, A GOLF? E QUALE IL SUO PERCORSO PREFERITO? CE N'È UNO IN ITALIA CHE LE PIACE?

GT: Il mio handicap è 12, sebbene ormai non giochi più come prima. Non ho mai giocato in Italia. Mi piaceva andare a giocare sul campo di Pebble Beach, in California, e di Loch Lomond, in Scozia.

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