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Destinazione India: l'anima di un popolo

Ultimamente parlo poco dell'India non perché non ne abbia la possibilità visto che ci lavoro ed ho amici indiani che vedo e sento regolarmente. La ragione principale del mio silenzio è che i pregiudizi sull'India cominciano a risultarmi un po' pesanti.

Sonia Bernicchi

Mi trovo, spesso ma mio malgrado, tirata in ballo in discussioni sull'India da persone che non ci sono mai andate ma-vorrebbero-tanto-andarci e da altre che la conoscono poco ma sono pronte a darne un'immagine preconfezionata e chiara: è un paese poverissimo, è sporco, visto-un-tempio-visti-tutti, non funziona niente, il caos attorno è faticoso e frastornante, il cibo troppo speziato. La domanda che mi fanno è sempre la stessa: "ma come fa a piacerti l'India?" Molto semplicemente, mi piace e mi ci sento a casa anche se è un mondo diverso. L'India è entrata nella mia vita molti anni fa in modo inaspettato ma l'ho amata da subito e non c'è né un perché, né una spiegazione.

 

Esistono tante India: da quella delle grandi città, a quella dei villaggi; le poche, grandi famiglie che detengono il potere economico di questo immenso paese e la moltitudine per cui sembra che la terra non sia sufficiente a sfamarla e si adopera in ogni modo per restare a galla. Esiste l'India di Bollywood e quella dei Sadhu - Santi Mendicanti -, quella futuristica dell'informatica e l'altra dei bambini di strada. L'India dello sviluppo economico convive tranquillamente con quella della spiritualità. È un paese che riesce a far coesistere tutto e tutti e va avanti pur sempre ancorata al suo passato1.

I miei amici indiani mi hanno raccontato che durante i Commonwealth Games che si sono svolti a New Delhi nell'ottobre del 2010, il problema dei cobra che sono stati trovati in alcune camere degli atleti è stato risolto con l'antico sistema degli incantatori di serpenti e quello delle scimmie che si aggiravano in cerca di cibo è stato regolamentato attraverso l'inserimento di scimmie più grandi che tenevano a bada quelle piccole. E questa è la meraviglia dell'India. Siamo abituati a vivere in mondi protetti, l'India invece, è il contrario.

Capisco che possa far paura perché veniamo gettati in una realtà dove non ci sono margini di protezione e dove tutte le sensazioni umane vengono amplificate e questo, molte volte, può far nascere un profondo senso di smarrimento. Ma se si va oltre il primo impatto della miseria, della malattia, della sporcizia, del caos, si può vedere una meravigliosa armonia ed una luce negli occhi delle persone che noi non abbiamo più da molto tempo.

 

Mi piacciono tutti i Sud del mondo perché sono imperfetti ma umani e ricchi di energia. Quando vado in India non ho aspettative e non so cosa troverò. Mi limito a vivere l'esperienza e a vagabondare secondo i ritmi di dove mi trovo. Mi è capitato di parlare con persone che hanno dell'India un'idea platonica e pensano che sia, ancora oggi, una colonia britannica dove si passa il tempo a giocare a polo e a prendere il tè. Altre la vedono come una meta di evasione dalla complessità del quotidiano e si rifugiano negli ashram per meditare passando il loro tempo a contatto con altri occidentali e poco tuffati nel mondo che li circonda.

Quello che mi colpisce è che sembra che conoscano già tutto e che abbiano con l'India una familiarità distorta. Cercano conferme alle loro aspettative che niente hanno a che vedere con l'autenticità del paese. Per questo al loro ritorno i racconti sono pieni di clichés perché non si è visto attraversol'umiltà dei propri occhi. C'è sempre bisogno di catalogare le esperienze e si preferisce confermare frettolosamente quello che si pensava già prima di partire perché questo rassicura.

Mi piacciono il Tamil Nadu e l'Orissa che, orgogliosi delle proprie tradizioni, cercano di non farsi sopraffare dalla globalizzazione ed è risaputo che mi piace Calcutta perché è più India di Delhi. In Europa si associa a immagini di povertà ma Calcutta con le sue tre grandi università e una storia rivoluzionaria alle sue spalle, ha la fama di essere il centro intellettuale dell'India e College Street con le sue numerosissime librerie e case editrici è un esempio della vivacità culturale della città. La strada è invasa da rivendite che sono chioschi in legno con un'insegna e la gente, qui, è immersa nel mondo dei libri. Si legge dappertutto, anche nei retrobottega e c'è chi compra, chi vende e chi si aggira tra i chioschi in cerca di rarità. Invece a Mahabalipuram non c'è una libreria vera e propria. Per andare alla spiaggia passo da una strada dove c'è un negozio che vende pietre preziose il cui commesso, un giovane e timido kashmiro è sempre immerso nella lettura. Un giorno entro nel suo negozio. Sta leggendo un libro da me già letto e molto amato e qui si apre un mondo: libri letti, da leggere, suggerimenti e nuove idee. Ho pensato che se fossi vissuta a Mahabalipuram, avrei avuto un amico con cui parlare di libri, come succede a casa mia.

 

Puri, città sacra, si esprime attraverso la molteplicità dei suoi templi tra cui il più stupefacente, il Lord Jagannath (Lord of THE Universe) dedicato a Krishna ma vietato ai non-indù. Del resto mi hanno insegnato che non si diventa induista. Indù si nasce quindi me ne faccio subito una ragione. Lungo la via sacra che conduce al tempio, lo ammiro dall'alto di una terrazza di un caffè. Si dice che una persona possa ottenere la "moksha" (dissoluzione totale dell'ego) se passa qui tre giorni e tre notti. Il tempio di Jagannath è parte del Dham Char che un indù deve compiere almeno una volta nella vita. C'è tutto ciò che racchiude l'essenza dell'India che non si può spiegare ma che si può sentire. E anche a Puri, come spesso accade nelle città indiane, l'Occidente è ben separato dall'Oriente. Sono arrivata la sera tardi e nel buio in India non è facile muoversi visto che di luci ce ne sono poche. Prima di scegliere la sistemazione, ho girovagato un po' in macchina. Gli hotel sono situati all'inizio della città, CT Road e lungo mare, Marine Drive Road.

L'istinto mi dice di fermarmi qui dove c'è una vita tutta indiana: lungomare gremito di gente, bancarelle, traffico, mucche, biciclette. La spiaggia è grande e molto bella ed è un viavai di umanità. Il mare aperto, impetuoso.Chiedo a un hotel che è fronte-mare ma alla mia richiesta di una camera, mi rispondono frettolosamente che non c'è posto. Dopo un attimo di silenzio, dico che vorrei rimanere a Puri per un periodo lungo e, a quel punto, le cose cambiano. Mi offrono una meravigliosa suite con vista mare a prezzi indiani e qui comincia l'avventura. Nei giorni successivi, faccio amicizia con famiglie indiane che incontro a colazione e a cena e mi rendo conto che nell'hotel non ci sono occidentali. Del resto non c'è marmellata, né Pepsi o Coca. L'unica bevanda gassata che si trova e che ricorda la coca, si chiama THUMBS ed è indiana.

Qualche giorno dopo, vista la difficoltà di trovare giornali in lingua inglese, il proprietario dell'hotel mi da il suo e cominciamo a parlare del più e del meno. Nei giorni seguenti, alla reception trovavo sempre un quotidiano in inglese e dopo cena, il proprietario dell'hotel mi invitava a prendere il chai e chiacchieravamo piacevolmente. Una sera gli ho domandato come mai, alla mia richiesta di soggiornare nel suo hotel, mi è stato detto di no e molto candidamente mi ha risposto: "perché gli occidentali non sono interessati a stare in questa parte della città. Preferiscono rimanere dall'altra parte e sembra che non siano interessati alla sacralità di questo luogo. Onestamente capirai che un tuo lungo soggiorno a Puri mi ha stupito".

Rolf Potts afferma che vagabondare è un'arte e che forse, se si viaggiasse non nelle vesti di consumatori ingordi con idee che sono già la proiezione di quello che si vorrebbe ma che non è, l'esperienza del viaggio sarebbe sicuramente più tranquilla ed autentica. Si tratta di osservare e non giudicare, di vedere le cose per come sono e di vivere il momento.

L'India ogni volta mi sorprende. Per me è un regalo inaspettato, un'occasione che mi fa vivere un'esperienza luminosa della vita.

Ed ogni volta trovo la mia India. Prossima destinazione Gujarat, la terra di Gandhi.

 

AFFARI ITALO-INDIANI. L'India ha molto in comune con l'Italia. Suketu Mehta dice che da Bombay si vede Napoli e che le due città sono più simili che dissimili tra loro: entrambe sono situate in una splendida baia, vivono perennemente in uno stato di caos amministrativo e tutte e due resistono grazie a network sociali e famigliari molto forti che si sono creati in forma autonoma rispetto allo Stato2. E come dice uno dei personaggi di Shantaram "gli Indiani sono gli Italiani d'Asia e con altrettanta certezza gli Italiani sono gli Indiani d'Europa".

Indiani-Italiani: abbiamo in comune il rispetto delle tradizioni, l'importanza della famiglia, il cibo come momento di gioia e di incontro con gli altri, la religione, la passione per la musica. Abbiamo sviluppato per cultura e situazioni contingenti, una grande virtù come la pazienza. Troviamo sempre una soluzione ai problemi piccoli e grandi se non con la ragione, con la creatività e l'ingegno rende possibile l'impossibile. Ma esiste anche l'altra faccia della medaglia. In India molti parlano inglese, sono simili a noi anche nei lineamenti e noi pensiamo già di conoscerli. Invece, hanno qualcosa di inafferrabile.

C'è sempre un chiaroscuro, un non-so-ché di indecifrabile e di imperscrutabile nei loro modi di fare. Sembra essere una simbiosi di contrari di una cultura che racchiude tanti opposti. Per questo non è facile lavorare in India e se pensiamo di andare lì per affari e concluderli rapidamente, potremmo avere delle brutte sorprese.

L'India impone se stessa con i suoi tempi ed i suoi ritmi ed è la controparte che deveadeguarsi. Prima di fare affari, l'importante è creare relazioni umane. C'è sempre il tempo per una tazza di tè ed è cortese accettare. Le proposte devono essere dettagliate e ben presentate. Voler chiudere una trattativa al primo incontro è impossibile e anche controproducente perché è un atteggiamentopercepito come rigido.

Nelle aziende indiane prendere una decisione è spesso un procedimento lungo non solo a causa della loro natura burocratica ma anche perché chi conta è presente solo nella parte finale della negoziazione. Sono da evitare lo scontro a tutti i costi e l'aggressività nell'esporre le proprie idee perché non fanno parte della cultura indiana e sono comportamenti controproducenti. Non vi diranno mai di no. Vi diranno "che ne discuteranno più tardi o che ne devono parlare con gli altri". Io che sono passionale ed istintiva per carattere, mi sono dovuta arrendere a questa logica ed aspettare che al di là dei dubbi, dei problemi e delle incomprensioni, i tempi fossero maturi e che si fidassero di me per concludere la trattativa.

Lavoro con l'India da circa quindici anni, a fasi alterne per ragioni di mercato ma nell'arco di questo tempo ho sempre mantenuto contatti con i miei clienti. C'è sempre l'occasione per una telefonata per parlare del più o del meno, di politica, di sport, della famiglia, per scambiarsi gli auguri di Natale o per il Diwali3 e poi affrontare l'aspetto lavorativo. Sono stata invitata a casa dei miei clienti che poi sono diventati amici, ho conosciuto le famiglie, ho cenato con loro ed ho visto come vivono. Aspettatevi sempre domande personali sulla famiglia, i figli ecc..

Anche se questo atteggiamento ai nostri occhi può sembrare intrusivo, è invece un mondo per conoscervi ed è un segno di amicizia. Nei miei viaggi per lavoro a Delhi, Calcutta, Nagpur, prima ho partecipato a cene di benvenuto, assistito a celebrazioni di Ganesh e alla festa di Diwali ma nel momento in cui la trattativa è iniziata, ho dovuto riconoscere alla controparte una grande professionalità e preparazione.

Ancora oggi ho un ricordo molto vivo del mio primo incontro con un importante gruppo cartario indiano, la JK Corporation, per discutere della possibilità di aprire in India, tramite una joint-venture, un'azienda per produrre carta igienica. Già al primo incontro, molti managers con ruoli decisionali erano presenti al tavolo della trattativa e tra questi spiccava Harshpati Singhania, membro della famiglia Singhania, proprietaria della JK Corporation. La sua presenza faceva intravedere un reale interesse da parte della controparte indiana nei confronti del progetto. Stiamo parlando di quindici anni fa ma già all'epoca gli strumenti informatici indiani erano all'avanguardia ed ho assistito ad una splendida presentazione della compagnia che mi ha lasciato senza parole. Poi, è stato il mio turno e credo che la passione e l'entusiasmo con cui ho presentato la mia azienda ed il progetto, abbia entusiasmato la platea molto più della mia presentazione su Power Point che era decisamente meno spettacolare!

I colloqui sono andati avanti per giorni tra gli uffici di Delhi e la cartiera a circa 100 Km da Calcutta. All'epoca i tempi per un progetto simile non erano ancora maturi ma per me è stata un'esperienza importante che ha segnato una tappa fondamentale nella mia crescita professionale.

 

Un'altra cosa. Gli Indiani sono "policronici" e tendono a trattare più di un argomento allo stesso tempo. Dovete prepararvi ad alcune distrazioni come ad esempio una segretaria che entra per far firmare dei documenti o alla conversazione che può divagare dall'argomento principale anche se questo non significa che ci sia una mancanza di interesse o di attenzione. Gli Indiani sono induttivi nel loro approccio al mondo. Conoscere i tessuti sociali e storici di persone, eventi, idee è un modo per conoscerli un po' di più.

Le nostre culture definiscono i principi su cui funziona il mondo ed in quale modo interagiamo, comunichiamo con gli altri, sviluppiamo e manteniamo relazioni. Fare affari in mondi diversi dal nostro significa focalizzare la propria attenzione su una comprensione ed un rispetto della sua cultura e sul suo modo di fare business a livello multi-dimensionale. Capire le differenze, non giudicare le culture secondo i nostri parametri occidentali ed adattarsi è la chiave di lettura. E se non ci dimentichiamo di essere mediterranei e riusciamo ad aprirci con curiosità ed interesse ad una nuova esperienza, si creeranno meravigliosi ponti di comunicazione fino ad allora impensabili e ognuno troverà un modo personale e costruttivo per fare affari in India.

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