PJL-34

Considerazioni sulla nuova direttiva macchine

A Dicembre 2009 è entrata in vigore nell'ambito dell'Unione Europea, tramite i recepimenti nazionali, la nuova direttiva macchine 2006/42/CE. Si tratta di una novità considerevole per i costruttori che si intreccia con le progressive modifiche introdotte dalle direttive sociali in materia di sicurezza delle macchine (più propriamente delle attrezzature di lavoro che sono un insieme più ampio che include anche le macchine).

Alessandro Mazzeranghi - MECQ S.r.l.

L'intenzione che abbiamo nello scrivere queste pagine è quello di identificare le novità rilevanti della nuova direttiva, per impatto sul fabbricante o sull'utilizzatore, e cercare di capire come queste novità modifichino il panorama delle responsabilità, da una parte, e quello tecnico e documentale, dall'altra.

Evidentemente le considerazioni che seguono si baseranno sul testo della direttiva e sulle bozze della guida alla medesima senza il conforto di atti di giurisprudenza. Esistendo alcuni passaggi importanti che risultano di ambigua interpretazione, alcune opinioni potrebbero essere soggette a revisione.

In ogni caso adottando il criterio prudenziale di prendere tutti i provvedimenti e dare tutte le evidenze perché al termine del processo di fabbricazione si arrivi a mettere a disposizione una macchina caratterizzata dal maggiore livello di sicurezza possibile, riteniamo che non si possano commettere errori sostanziali ma solo formali.

 

Macchine, quasi macchine e macchine complesse. Per il settore del tissue, sia in cartiera che cartotecnica, i termini "macchina incompleta" e "dichiarazione IIb" hanno un suono quasi funesto. Nel passato una discreta confusione di idee, principalmente da parte degli utilizzatori, ha portato ad esercire macchine che, in verità, non erano marcate CE pur essendo state immesse sul mercato dopo l'entrata in vigore della direttiva macchine (avvenuto fra il 1995 e il 1996 in funzione della data dei diversi recepimenti nazionali).

Vediamo di chiarire quale era il panorama per dare evidenza delle considerevoli migliorie che apporta la nuova direttiva. Per certificare una macchina e marcarla CE il fabbricante doveva fornire un qualcosa avente una finalità produttiva ben definita, e che al contempo fosse rispondente a tutti i requisiti applicabili della direttiva macchine e delle altre direttive pertinenti al bene in questione (per esempio direttiva bassa tensione, direttiva compatibilità elettromagnetica ecc.).

Se l'oggetto della fornitura non era in grado di svolgere autonomamente una applicazione ben definita, oppure era privo di una parte delle protezioni non poteva essere certificato né marcato CE; il fabbricante doveva dare evidenza di questa situazione con la così detta dichiarazione IIb (allegato II lettera b) definita anche dichiarazione del fabbricante.

Alcuni esempi: un gruppo stampa, una cassa di afflusso, un nastro di trasporto di rotolini ecc.; tutti casi in cui l'oggetto della fornitura non rientrava (e non rientra ora) nella definizione di macchina, e quindi non poteva essere certificato e marcato IIb, assurdamente, veniva spesso intesa dagli utilizzatori come una normale dichiarazione di conformità, e quindi gli utilizzatori non capivano che si trovavano a mettere in servizio delle macchine non certificate; di più: le forme previste per la dichiarazione del fabbricante ne facevano una vera e propria dichiarazione di non conformità (come ben precisava la guida alla direttiva macchine) che di fatto mallevava il fabbricante trasferendo tutte le responsabilità su chi certificava (o avrebbe dovuto certificare) la macchina (che spesso veniva ad essere la ditta utilizzatrice). Dobbiamo precisare che su questo aspetto la giurisprudenza è ampia e sempre ha dato chiaramente ragione alla interpretazione della guida.

Questa situazione di sostanziale malleva della responsabilità del fabbricante per il caso delle macchine incomplete, giuridicamente ben espressa dal contenuto della dichiarazione IIb, è un evidente controsenso tecnico; chi, più del progettista, è in grado di valutare la sicurezza di una determinata macchina a macchina incompleta, ed è pertanto in grado di identificare i migliori accorgimenti per ridurre al minimo i rischi?

 

La nuova direttiva ha nella correzione di questa anomalia il contenuto più importante: tramite il concetto di "quasi-macchina" ogni fabbricante è responsabile della sicurezza di ciò che immette sul mercato, nei limiti di definizione della fornitura.

Qui dobbiamo dare le definizioni esatte della direttiva (articolo 2 della direttiva 2006/42/CE):

 

"Ai fini della direttiva, si intende per macchina:

- Insieme equipaggiato o destinato ad essere equipaggiato di un sistema di azionamento diverso dalla forza umana o animale diretta, composto di parti o di componenti, di cui almeno uno mobile, collegati tra loro solidamente per un'applicazione ben determinata;

- Insieme di cui al primo trattino, al quale mancano solamente elementi di collegamento al sito di impiego o di allacciamento alle fonti di energia e di movimento;

- Insieme di cui al primo e al secondo trattino, pronto per essere installato e che può funzionare solo dopo essere stato montato su un mezzo di trasporto o installato in un edificio o in una costruzione;

- Insiemi di macchine, di cui al primo, al secondo e al terzo trattino, o di quasi-macchine, di cui alla lettera g), che per raggiungere uno stesso risultato sono disposti e comandati in modo da avere un funzionamento solidale;

- Insieme di parti o di componenti, di cui almeno uno mobile, collegati tra loro solidalmente e destinati al sollevamento di pesi e la cui unica fonte di energia è la forza umana diretta; (...)

 

Ai fini della direttiva, si intende per "quasi-macchina":

- Insiemi che costituiscono quasi una macchina, ma che, da soli, non sono in grado di garantire un'applicazione ben determinata. Un sistema di azionamento è una quasi-macchina. Le quasi-macchine sono unicamente destinate ad essere incorporate o assemblate ad altre macchine o ad altre quasi-macchine o apparecchi per costituire una macchina disciplinata dalla presente direttiva;",ci scusiamo per la lunga citazione ma molte parti di questa ci serviranno in seguito.

 

Qui vediamo dunque che viene data una definizione piuttosto precisa di "quasi-macchina", contrariamente a quanto accadeva con la direttiva 98/37/CE che non dava alcuna definizione di macchina incompleta. Resta però da vedere, tramite due estratti dell'allegato II, cosa il fabbricante debba dichiarare rispettivamente per le macchine e per le "quasi-macchine":

 

"A. Contenuto della dichiarazione CE di conformità per le macchine: (...)

- un'indicazione con la quale si dichiara che la macchina è conforme a tutte le disposizioni della direttiva e, se del caso, un'indicazione con la quale si dichiara la conformità alle altre direttive comunitarie; (...)

 

B. Contenuto della dichiarazione di incorporazione: (...)

- un'indicazione con la quale si dichiara esplicitamente quali requisiti essenziali della direttiva sono applicati e rispettati e che la documentazione tecnica pertinente è stata compilata in conformità dell'allegato VII B e, se del caso, un'indicazione con la quale si dichiara che la quasi - macchina è conforme ad altre direttive comunitarie pertinenti;" .

 

Dunque, come già in precedenza, chi immette sul mercato una macchina deve dichiarare che la medesima è conforme a tutte le disposizioni applicabili della direttiva. Ma chi immette una "quasi-macchina" deve dichiarare esplicitamente a quali disposizioni la medesima è conforme, assumendosi quindi una precisa responsabilità progettuale e costruttiva in relazione a ciò che dichiara.

Non tutto è perfetto neanche qui: per esempio se un fabbricante di una "quasi-macchina" protegge (per ragioni oggettive) solo parte degli elementi mobili potenzialmente pericolosi, cosa dichiara rispetto al requisito 1.3.7 dell'allegato I della direttiva?

Ovviamente non può dichiarare che lo rispetta in toto, e quindi per conseguenza non dovrebbe dichiarare alcunché... non darebbe quindi evidenza di quanto fatto per la sicurezza, costringendo quindi chi poi certifica la macchina ad una assunzione di responsabilità più ampia di quanto tecnicamente necessario e ragionevole. Chi scrive è certo, per averne a lungo discusso con gli interessati, che i fabbricanti più attenti alla soddisfazione del cliente troveranno vie intermedie (per esempio dichiareranno il rispetto di un determinato requisito limitatamente ad alcune zone o elementi della "quasi-macchina"), ma spetta certamente agli acquirenti prestare attenzione particolare a questo aspetto, definendo eventualmente precise specifiche contrattuali, se vogliono essere certi di evitare brutte sorprese.

 

La data della certificazione e della marcatura. Un altro aspetto estremamente interessante, anche questo profondamente legato al processo di certificazione piuttosto che agli aspetti tecnici di sicurezza, è quello della datazione della marcatura; premesso che la marcatura è un atto che segue logicamente la certificazione e non viceversa, perché la possibilità di marcare discende necessariamente dal fatto che un soggetto aziendale dotato di autorità adeguata (potere di rappresentanza della azienda verso l'esterno) ha dichiarato che, sulla base delle evidenze necessarie raccolte, la macchina è conforme (o la "quasi-macchina" è conforme a determinati requisiti), si deve osservare che mai era stato chiarito quale fosse la corretta data di certificazione. Chi scrive non ravvisava nella precedente direttiva un legame necessario fra il momento della certificazione e la immissione sul mercato intesa come prima messa in commercio o a disposizione di una macchina sul territorio della unione europea. Sicuramente era chiaro che la certificazione e la marcatura dovessero essere antecedenti alla immissione sul mercato, ma di quanto? Il giorno stesso, un mese prima, un anno... quale tipo di considerazioni andavano fatte?

Pensiamo agli utensili elettrici che utilizziamo in azienda: flessibili, trapani, mole ecc... Sono tutte piccole macchine prodotte in serie a grandi lotti che possono permanere nei magazzini, anche del fabbricante, per diverso tempo prima di essere rivenduti a un distributore o a un cliente finale. Evidentemente questi oggetti vengono fabbricati in conformità alle direttive e alle norme vigenti al momento della fabbricazione, per cui se permangono in magazzino tanto a lungo da attraversare il confine temporale di un cambiamento legislativo o normativo, come potrebbero essere trattati? Con la direttiva 98/37/CE il dubbio era legittimo... Ora, grazie al legislatore, il problema è risolto dal requisito 1.7.3 della direttiva:

Ogni macchina deve recare, in modo visibile, leggibile e indelebile, almeno le seguenti indicazioni: (...)- anno di costruzione, cioè l'anno in cui si è concluso il processo di fabbricazione. È vietato antedatare o postdatare la macchina al momento dell'apposizione della marcatura CE.

È un ottimo principio anche se resta da chiarire cosa si debba intendere per conclusione del processo di fabbricazione di una macchina complessa quale una linea da trasformazione del tissue: il collaudo effettuato presso il costruttore o la messa in servizio dal cliente?1

 

Chi certifica la macchina? Ovvero: chi firma la dichiarazione di conformità? Con la vecchia direttiva la questione era chiara: doveva essere necessariamente un legale rappresentante. Purtroppo però molte aziende avevano equivocato e assegnavano il compito di firmare la dichiarazione a soggetti quali il direttore dell'ufficio tecnico, il progettista, il direttore commerciale o altri, tutti sprovvisti del potere di rappresentanza della azienda; tali dichiarazioni erano valide? In teoria no, quindi in ultima analisi venivano commercializzate e utilizzate macchine prive di marcatura CE. In pratica non ci risulta che in qualunque sede di giudizio sia stata mai messa in dubbio la validità di queste dichiarazioni, almeno per quanto concerne la responsabilità dell'utilizzatore; per gli aspetti penali, invece, era ed è chiaro che la firma di un soggetto terzo non esime il legale rappresentante della azienda fabbricante dalla propria responsabilità ultima (quale ultimo e plenipotenziario garante) riguardo alla conformità della macchina.

Anche su questo la direttiva 2006/42/CE chiarisce, al punto 10 dell'allegato II, che la dichiarazione di conformità deve contenere: (...) identificazione e firma della persona autorizzata a redigere la dichiarazione a nome del fabbricante o del suo mandatario, quindi chi firma deve essere persona autorizzata dal fabbricante, ovvero dotata di adeguati poteri di rappresentanza conferiti dall'organo direttivo della azienda. Lo stesso vale, ovviamente, per le dichiarazioni che accompagnano le quasi macchine.

 

La centralità della valutazione dei rischi. Una ultima importante chiarificazione della nuova direttiva è quella inerente la necessità di effettuare la valutazione dei rischi, che viene a rappresentare sia lo strumento principale della progettazione della sicurezza, che l'elemento cardine del fascicolo tecnico. Anche qui la direttiva 98/37/CE non era sbagliata ma poco chiara; infatti la valutazione dei rischi (risk assessment) non veniva citata dalla direttiva ma solo dalle norme tecniche (EN 1050 ora EN 14121-1), e quindi poteva apparire non obbligatoria. Mentre invece era forte il rimando, ove si parlava di fascicolo tecnico, alla indicazione dei requisiti essenziali rispettati dalla macchina.

Prima di procedere bisogna capire che i requisiti sono appunto delle indicazioni su quali soluzioni si debbano adottare a fronte di determinati rischi, individuati come presenti sulla macchina. Quindi partire dai requisiti è praticamente un approccio al rovescio: si ragiona sulle possibili soluzioni prima ancora di avere stabilito esattamente quali sono i problemi, e quale livello di criticità è associato ai medesimi. Il risultato? Semplicissimo: tutti i rischi sono posti sullo stesso piano senza avere quindi una priorità chiara per gli interventi.

 

La nuova direttiva invece recita, al punto 1 dei principi generali dell'allegato I:

Il fabbricante di una macchina, o il suo mandatario, deve garantire che sia effettuata una valutazione dei rischi per stabilire i requisiti di sicurezza e di tutela della salute che concernono la macchina. La macchina deve inoltre essere progettata e costruita tenendo conto dei risultati della valutazione dei rischi.

Con il processo iterativo della valutazione dei rischi e della riduzione dei rischi di cui sopra, il fabbricante o il suo mandatario:

- stabilisce i limiti della macchina, il che comprende l'uso previsto e l'uso scorretto ragionevolmente prevedibile,

- individua i pericoli cui può dare origine la macchina e le situazioni pericolose che ne derivano,

- stima i rischi, tenendo conto della gravità dell'eventuale lesione o danno alla salute e della probabilità che si verifichi,

- valuta i rischi al fine di stabilire se sia richiesta una riduzione del rischio conformemente all'obiettivo della presente direttiva,

- elimina i pericoli o riduce i rischi che ne derivano, applicando le misure di protezione nell'ordine indicato nel punto 1.1.2, lettera b).

 

Quindi prima di tutto il progettista deve individuare i pericoli e valutare i rischi, nei termini già a suo tempo stabiliti dalla EN 1050 (ma non dalla direttiva).

Chiaramente, essendo parte del fascicolo tecnico, la valutazione dei rischi deve essere documentata precisamente in modo che a distanza di tempo chiunque possa ricostruire i ragionamenti fatti dal progettista in sede di progettazione.

 

Conclusioni. Abbiamo visto solo le principali novità introdotte dalla direttiva, ma crediamo che risulti comunque chiaro l'intento del legislatore. Si vogliono risolvere i principali problemi introdotti dalla precedente direttiva, dovuti essenzialmente a difetti di linguaggio, al fine di rendere la nuova direttiva uno strumento indiscutibile di responsabilizzazione del fabbricante e del progettista. In questa direzione deve essere letta anche l'enfasi posta anche all'interno dell'allegato I della direttiva sulla valutazione dei rischi che rappresenta lo strumento principale della progettazione della sicurezza. Cresce quindi il livello di tutela dell'utilizzatore che riceve chiare indicazioni sulla conformità della fornitura, sia essa una macchina o una "quasi-macchina". Quindi la direttiva rappresenta un considerevole passo in avanti che spinge verso una sempre maggiore e più precisa attività di studio della sicurezza da parte di tutti coloro che sono parte della catena che dal progetto arriva al collaudo finale di una macchina, demandando invece i dettagli tecnici alle norme armonizzate che, come noto, sono strumenti assai più flessibili per quanto riguarda eventuali revisioni e aggiornamenti.

 

1 Affermiamo con decisione che il collaudo è parte integrante del processo di fabbricazione (quindi non si può sostenere che la fine dell'assemblaggio è la fine del processo di fabbricazione se, per quella macchina, è previsto un collaudo). Abbiamo volontariamente utilizzato la terminologia "messa in servizio dal cliente" per dare una definizione ambigua che si presta a due interpretazioni: collaudo finale (quindi fabbricazione) o semplice verifica della corretta messa in linea di una macchina già completamente fabbricata.

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