Il sud della Cina, sul delta dello Zhujiang (fiume delle perle), ha mantenuto antiche radici in cui il pensiero confuciano, retto dalla centralità della famiglia e dalle sue gerarchie, e il culto buddista, che presume una ciclicità spirituale, si fondono secondo una tradizione cinese che il maoismo non è riuscito a cancellare.
Ciò si traduce in uno stretto legame tra la vita, la morte e il mondo transeunte, popolato di antenati, dei e spettri. A questi, secondo diverse modalità, protettive o auspicali, si devono voti e orazioni, officiati nei templi o anche in piccoli altari domestici, in privato, secondo un rapporto dialogico diretto con l’aldilà. Il medium è la carta. Rielaborata nei modi più fantasiosi secondo una varietà di oggetti multipla e rispondente ad ogni desiderio da inviare all’altro mondo: soldi finti, sagome di lingotti d’oro, parure di gioielli ma anche umili contenitori di dim sum (ravioli), vestiti, cosce di pollo. Insomma tutta la vita materiale è tradotta e illustrata al cielo mediante questi simulacri di carta che vengono bruciati in bracieri di diversa dimensione e foggia. Pensandoci bene tutti gli elementi sono coinvolti in questo rito sincretico-scaramantico-propiziatorio: la terra da cui nasce l’albero per ottenere la carta, l’acqua per nutrirlo, il fuoco per trasferirlo e l’aria per portare i desideri nell’ignoto, con la speranza (materialista?) che tornino reali ai vivi.
Ogni giorno a Canton, Macao o Hong Kong ricchi manager, operai, pescatori o casalinghe officiano questo rito nel silenzio, rallentando i ritmi di città frenetiche, cercando di sfuggire dal “Dio denaro” verso un pantheon indefinito e mutabile a propria immagine e desiderio. La crisi attuale ha rinvigorito il rito, esportandolo nelle zone limitrofe della Cina dove era stato cancellato, per la gioia dei venditori. Avendo di meno conviene mandare qualche “bustarella” in più sia agli dei o agli antenati in paradiso che agli spettri infernali, non si sa mai…