PJL-47

L’uomo, il lavoro, la salute & la sicurezza: spunti di riflessione in un contesto globalizzato

Il mondo sta cambiando, e le tematiche del benessere delle persone in generale, e dei lavoratori in particolare, vengono ormai associate a tutti i paesi del mondo, sebbene in misura diversa in funzione dei precedenti storici.

Alessandro Mazzeranghi


Possiamo tentare di fare un ragionamento completo che non parta dal presupposto che esiste una netta divisione fra paesi industriali storici e paesi emergenti che sono in fase di avvio di una industria nazionale. Probabilmente a inizio secolo era così, ora le istanze di salute e sicurezza sul lavoro sono comuni a tutti. Non siamo tutti allo stesso livello, ma andiamo tutti nella medesima direzione. Le differenze poi, i confini delle differenze, non sono così ben marcati e logici come si sarebbe portati a credere: per esempio paesi diversi della Unione Europea hanno livelli concreti di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro assai diversi, sebbene tutti applichino le medesime direttive europee. Anche all’interno degli Stati Uniti di America esistono differenze da stato a stato. Giusto per fare due esempi che forse i non addetti ai lavori non si aspetterebbero.


PRINCIPI E NORMATIVE: DUE MONDI DIVERSI. Dobbiamo, prima di tutto, sgombrare il campo dall’idea che il metro per misurare il livello di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro in un determinato paese del mondo sia la quantità e la qualità della pertinente legislazione. Si dice che noi italiani siamo bravissimi a fare leggi articolate e complesse, e a trovare poi i vincoli per aggirarle. Lo diceva già Alessandro Manzoni nel 1800, raccontando nel suo “I Promessi Sposi” una vicenda ambientata in tempi ancora precedenti. Temo che in forma diversa questo approccio abbia contagiato altri popoli … non vorrei dimenticare il caso VolksWagen. Tutto questo ha una sua morale: se la legge (o le norme che ne derivano) viene vista come puro e semplice ostacolo, avere buone leggi non è di garanzia per la salute e la sicurezza dei lavoratori, nel migiore dei casi è solo uno strumento che consente la vendetta. Se proviamo, invece, a ragionare di principi forse riusciamo a recuperare una visione più umana che meglio si adatta alla gestione di contesti (nazionali e aziendali) oggi profondamente sbilanciati (come si diceva, principalmente per ragioni storiche). Quindi nello scrivere qui questo articolo, pur con la nostra cultura strettamente legata al diritto romano, vogliamo fortemente rivendicare il primato dei principi etici di giustizia rispetto ai vincoli imposti dalle leggi.


PERCHÉ IL LAVORO È UN CAMPO PARTICOLARE. In molti paesi del mondo sono assai di moda sport affascinanti ma anche assai pericolosi; il parapendio, il rafting, il free climbing … chi sceglie di dedicarsi a questi sport, che costano diversi morti all’anno, lo fa liberamente, e quindi coscientemente (si spera) si assume i rischi che ne derivano. È giusto intervenire su queste persone per obbligarle ad un maggior livello della loro salute e della loro sicurezza? Chi lavora non lo fa per passatempo, ma per necessità. Secondo alcune linee di pensiero (fra l’altro rappresentate nella Costituzione Italiana) il lavoro è una necessità personale (per avere un salario a sostegno della propria esistenza) ma anche un dovere sociale (tramite il lavoro le persone contribuiscono, o dovrebbero contribuire, alla crescita complessiva della società). Quindi è giusto che chi lavora, costretto e al tempo stesso utile alla crescita della società, non debba per questo suo lavorare, subire danni o contrarre malattie. È giusta, insomma, una maggiore tutela, è giusto che per effetto del lavoro che svolge l’individuo non subisca ingiustizie (nel senso inteso da Amartya Sen).


I PRINCIPI GENERALI, I PRINCIPI CONCRETI E GLI ATTORI. Ingiustizia è tutto ciò che limita il libero sviluppo e la realizzazione di un individuo. L’individuo che lavora deve essere tutelato, nell’ambito lavorativo, dal subire ingiustizie. Gli infortuni e le malattie, in diverso grado, in funzione e della gravità oggettiva e delle caratteristiche psicologiche dell’individuo (non dimentichiamo neanche i fattori legati alla società di appartenenza), limitano lo sviluppo della persona che li subisce. Quindi è scontato che debbano essere prevenuti. Ma da chi? Questa è una domanda fondamentale, fonte di grandissime confusioni, almeno in Europa (non mi permetto di giudicare altri contesti che conosco troppo poco). La risposta corretta è certamente la seguente: gli infortuni e le malattie professionali devono essere prevenuti da tutti coloro che concretamente possono esercitare qualche forma di influenza, positiva o negativa, sul loro verificarsi. Qui tutti vuol dire: il lavoratore stesso che può subire il danno, i suoi colleghi che operano accanto a lui, il management e l’azienda in genere. Quindi, nel nostro piccolo mondo del Tissue: la direzione generale, i direttori di fabbrica, i responsabili di reparto, i preposti, i manutentori, i lavoratori … Persone che a diverso livello prendono decisioni che possono essere a favore o in contrasto con gli elementari principi (concreti) di salute e di sicurezza sul lavoro. E veniamo ai principi concreti: dando per scontato che in primis vogliamo evitare gli incidenti mortali o pesantemente invalidanti e le malattie debilitanti che riducono le possibilità di operare della persona, dovremo ragionare su quando e come questi eventi potrebbero manifestarsi nel nostro contesto operativo. E questa non è altro che la valutazione dei rischi riportata ai suoi fondamenti elementari. Ma di chi ci dobbiamo occupare: solo dei dipendenti della azienda? Un europeo risponderebbe: di tutti coloro per i quali siamo legalmente responsabili, e di nessun altro! Ma visto che ne abbiamo fatto una questione di principi e non di leggi, la risposta è diversa: di tutti coloro che sono esposti alle possibili ricadute negative delle nostre decisioni e del nostro agire. Quindi il camionista che viene a caricare il prodotto finito deve essere considerato al pari del dipendente, indipendentemente da quel che dice la legge; e lo stesso il visitatore o il contadino che coltiva il campo accanto alla fabbrica. Detto questo resta un ultimo aspetto concreto da considerare, e un corrispondente principio da esprimere. Là dove vediamo un pericolo che rischia di generare un grave danno alle persone, come dobbiamo intervenire? Con quale logica e con quali priorità? Beh, anche qui si tratta di principi elementari: dobbiamo “combattere” i rischi prima di tutto (se possibile) per eliminare le fonti di rischio, altrimenti per ridurre i rischi, infine per controllarli tramite opportuni comportamenti delle persone. Ma è ovvio che, per quanto sopra, se tutti devono contribuire alla salute e alla sicurezza, e se ci vogliamo affidare alle persone per controllare i rischi, dobbiamo prima di tutto coinvolgere le persone in questione, renderle partecipi degli obiettivi e dei principi concreti che si vogliono applicare, in una parola coinvolgerli nella strategia aziendale. Attenzione, non vogliamo parlare di informazione e formazione in senso tradizionale; sono strumenti utili, ma che hanno ampiamente fallito sul fronte essenziale del coinvolgimento. È necessario trovare un nuovo modo per ottenere la collaborazione dei lavoratori a temi che teoricamente sarebbero di loro interesse, ma che in verità sono ben poco sentiti. Un consiglio: non seguite l’esempio europeo: su questi temi abbiamo evidentemente fallito, se nella maggior parte degli infortuni gravi fra le cause c’è quasi sempre il comportamento umano!


CONCLUSIONE. Dopo tanti anni che lavoro in Europa (principalmente) su questi temi, davvero mi verrebbe voglia di fare un bel punto zero e ricominciare. Abbiamo fatto tanto di buono, ma più “a casaccio” che secondo una strategia precisa. Principalmente abbiamo fatto l’errore di correre dietro alle leggi, piuttosto che prendere il controllo della situazione e cercare di fare crescere gli aspetti di salute e sicurezza secondo una logica manageriale. E così, inseguendo questo e quello, sembra che ci siamo persi! O almeno dobbiamo impegnarci a ritrovare la strada. Spero caldamente che chi viene dopo di noi non rifaccia i medesimi errori, e tenga fisso in mente l’obiettivo fondamentale: lavorare per la giustizia in generale e per il bene delle persone in particolare, senza disperdere l’impegno in mille rivoli per nulla coordinati. *



Commenti:
Accedi o Registrati subito per pubblicare un commento
PERINI JOURNAL 47