PJL-47

Adattate al presente; esiste un futuro per le industrie nella Unione europea?

Chissà per quale motivo mi illudevo che passata la crisi, morte e sepolte le industrie troppo deboli per sopravvivere, avremmo assistito a una sorta di “rinascita industriale”, la rinascita di una industria capace di dominare il futuro. Una industria più marginale nella costruzione della ricchezza, ma intrinsecamente forte, dinamica, in una parola: nuova!

Alessandro Mazzeranghi


Quello che vedo, invece, sono spesso storditi sopravvissuti, che ragionano come nel 2000, oppure sono tanto storditi da non ragionare proprio, o ancora peggio sono del tutto privi di cervello. Per industrie prive di cervello intendo quelle che non sono più governate da una logica industriale, ma ormai operano secondo logiche finanziarie imposte dai loro veri padroni: le banche. Amareggia pensare che i maggiori colpevoli della crisi che ci ha attanagliato a partire dal 2008, siano proprio quelli che ne escono meglio; ne escono camminando sulle macerie di quella parte del mondo su8udata e sfiduciata che sino ad allora produceva. Ma bando alle macerie, ci aggiriamo fra di loro come i nostri nonni europei si aggiravano fra le macerie industriali lasciate dalla seconda guerra mondiale. E loro hanno saputo creare con tenacia il miracolo della ricostruzione di tutta l’Europa. Ancora oggi intorno al castello di Norimberga si possono osservare le foto della città distrutta (correva l’anno 1945), e ammirare la città di oggi. Tutti i paesi, vincitori e vinti, ricostruirono con determinazione e grandissimo impegno. 


COME USCIAMO NOI EUROPEI DALLA GUERRA CHIAMATA CRISI?. Supponendo che la crisi sia terminata, che stia quindi cominciando una lenta ripresa, a guardarci intorno non vediamo nulla di particolarmente confortante. Sarà una mia visione pessimistica? Non credo. Il punto debole è evidente, nel periodo della crisi le aziende, dopo un lungo momento di disorientamento, hanno adottato una strategia “liquida” di continuoadattamento e riadattamento alle mutate e mutevoli condizioni di contesto, puntando a una sopravvivenza davvero a breve termine, in principio, e a medio termine, in un secondo momento. Tutto questo è davvero comprensibile se si considera la assoluta incertezza del contesto, specie in europa dove diversi motivi di disagio si sono sommati nel tempo confondendo sempre più le idee degli addetti ai lavori. Però, a conti fatti, è stata una politica spesso coraggiosa ma miope; si può riassumere col vecchio motto latino: mors tua vita mea. O se preferite: tutti contro tutti. Senza una idea di sviluppo industriale su un orizzonte più ampio. Il risultato, quindi, è che molte aziende sono sopravvissute, spesso a spese di sacrifici da parte di tutti i soggetti interessati, ma che le stesse aziende non hanno un piano chiaro per il futuro. Se ci sarà un vero futuro industriale per l’Europa, è una cosa che si vedrà col tempo.


QUALCHE PECULIARITÀ DEL TISSUE. Il caso del tissue ha due particolarità aggiuntive, del tutto indipendenti fra loro. La prima è in comune con molti altri settori: si parla di prodotti di consumo sui quali, per lo meno sul prodotto finito, il costo di trasporto incide grandemente sul costo complessivo. Pertanto è evidente che la trasformazione deve essere, preferibilmente, vicina al cliente finale, e quindi gioco forza il mercato europeo deve essere rifornito da fabbriche situate nel medesimo spazio geografico. Altra questione: il tissue europeo è entrato nel periodo della crisi già essendo in una condizione di sovra – produzione; questo ha avuto un effetto moltiplicatore ulteriore sulle conseguenze della riduzione dei consumi, o dello spostamento dei clienti verso prodotti di fascia più bassa (con evidente danno dei prodotti premium).


LE REGOLE DI MERCATO. Tutto questo è avvenuto in una condizione di mercato (europeo) prossimo alla concorrenza perfetta, dove anche se si volesse aiutare una azienda in crisi da parte della comunità locale o nazionale, i vincoli sarebbero sostanzialmente insormontabili (salvo casi estremi). Tutta l’industria europea, quindi, dopo essere arrivata ad una condizione ideale di concorrenza, assolutamente idonea in una prospettiva di sviluppo moderato ma continuo, ha subito una regressione inaspettata dovuta a fattori esogeni, esterni al mondo industriale; le regole del gioco non erano più quelle giuste, lo sviluppo concorrenziale regolato per il bene del consumatore e dell’intera società è diventato l’opposto, una sorta di giungla in cui il massimo è sopravvivere stentatamente; c’è chi soccombe, c’è chi sopravvive ma nessuno migliora o cresce.


GLI SVILUPPI PRIVILEGIATI DALLE AZIENDE. Chi resta fermo muore: è un concetto darviniano pienamente valido anche nel mondo dell’industria. Le aziende sono molto simili ad esseri viventi, possono contrarre malattie in alcuni loro dipartimenti o funzioni, hanno una comprensione della realtà imperfetta, hanno una sorta di autocoscienza. E vogliono sopravvivere, dunque vogliono adattarsi all’ambiente circostante. Quindi, dopo un primo periodo di comprensibile sconcerto, escludendo quelle aziende sclerotizzate per cui la crisi è stato come un inverno rigido per una persona anziana e debilitata, la causa ultima del decesso, le aziende hanno reagito; facendo cosa? Riducendo i costi! A questo sono stati orientati i vari tagli alle spese (ovviamente) ma anche gli investimenti in nuovi impianti, soluzioni produttive e tecnologie. Quindi le aziende hanno investito, si sono modernizzate ma in ottica di sopravvivenza e non di sviluppo. Con esiti direi molto soddisfacenti, rispetto agli obiettivi.


QUALE FUTURO? Purtroppo non siamo soli; l’Europa non è più uno dei due centri del mondo industriale, col suo “partner” nord americano col quale le vicende commerciali sono state “combattute” sempre su basi (sociali e industriali) comuni. Siamo dentro un contesto globalizzato nel quale le regole commerciali sono arbitrarie. E non abbiamo una politica industriale comune, anzi nel tissue esiste una condizione di reciproco sospetto che spezza anziché dividere. Quindi ognuno continuerà per la sua strada, felice dei guai dei concorrenti, senza vedere i guai del settore. Intanto i piccoli trasformatori scompaiono come aziende attive divenendo, se va bene, terzisti (soffocati quindi dalla concorrenza). Le acquisizioni e i riassetti del settore si susseguono. Ma in termini di ricerca e innovazione? Non di ricerca tecnologica (come fare un prodotto esistente con costi minori, con meno scarti, con meno impatti ambientali), ma di innovazione di prodotto? Mi pare di vedere poco. Se la crisi passerà veramente, noi europei inizieremo a chiedere prodotti più performanti, più belli, insomma nuovi. E saremo di nuovo moderatamente interessati a spendere di più per portarceli a casa. In altri settori del mondo dei beni di consumo è già chiaramente così, la svolta dei consumatori che tornano verso il premium è in atto. Visto che procediamo in ordine sparso mi permetto di dire: chi ha intrapreso la strada dell’innovazione acquisirà mercati affidabili e remunerativi, chi non lo ha fatto scivolerà sempre più indietro.


L’EQUIVOCO DELL’AMBIENTE (O DEL GREEN).

Voglio parlare di questa faccenda per chiarire: l’innovazione di prodotto NON è, secondo me, quella innovazione che aumenta la sostenibilità ambientale del prodotto. Il rispetto dell’ambiente, ai livelli stabiliti dalla Unione Europea, è un obbligo con parametri già piuttosto stringenti; è un fattore determinante nei rapporti con le comunità locali che ospitano le fabbriche. Può essere determinante per la sopravvivenza di una fabbrica, ma non è un fattore di concorrenzialità sul banco del supermercato. Chiedete a chi compra se sa capire cosa significhi ecolabel … o qualche altro marchio o sigla che è posta sul pacchetto di fazzolettini! Quindi il miglioramento dei fattori ambientali di una azienda è cosa ottima, talvolta indispensabile (dipende dal punto di partenza), ma è da leggere come parte della strategia di sopravvivenza adottata per sopravvivere alla crisi, sicuramente ci sono cose da completare, prestazioni ancora migliorabili, ma non è lì che si gioca il futuro. 


CONCLUSIONE. Il futuro si gioca su due semplici domande, le domande della massaia davanti al banco:

• Che vantaggio pratico mi viene dal comprare un prodotto di carta tissue (invece di un prodotto di altro tipo)?

• Il rapporto costo / beneficio pratico soddisfa le mie esigenze? Ne esiste una terza, nascosta ma altrettanto importante:

• Il prodotto mi produce una gratificazione estetica o un riconoscimento sociale? Direi che dobbiamo recuperare le basi, e da lì progettare lo sviluppo dei prossimi cinque anni, sperando che nel frattempo non arrivi qualche altro tsunami a travolgerci. *



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