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Sicurezza sul lavoro: gravità del rischio per le persone e conseguenze pratiche per l’azienda

Più volte e in diversi paesi del mondo mi è capitato di vedere considerata la Sicurezza sul lavoro come una questione di rispetto della legge; questo a dispetto di politiche aziendali e codici etici che direbbero, spesso, il contrario: ovvero che la sicurezza dei dipendenti di una azienda è uno dei beni primari per la azienda medesima.

Alessandro Mazzeranghi, MECQ S.r.l.


Capita però che le dichiarazioni di principio vengano ignorate, nella concreta gestione quotidiana, e venga data priorità alla legge e alla tutela legale delle persone che rivestono posizioni di concreta responsabilità. È un modo miope di affrontare il tema, e per giunta esprime una capacità manageriale davvero scadente. Capita spesso che dirigenti dotati di vero potere di spesa, per suggerire investimenti volti al miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza in azienda, insistano sulla responsabilità personale del manager di fronte alla legge. Lo trovo avvilente e mi rifiuto di intraprendere questa “strategia”; credo piuttosto che ogni investimento debba dare un beneficio concreto alla comunità aziendale, non necessariamente in forma diretta e personale. E in materia di salute e sicurezza sul lavoro in cosa consiste il possibile beneficio?

Nella prevenzione dei danni alle persone che operano in azienda, siano esse dipendenti, appaltatori o soggetti presenti a qualunque altro titolo. Da quella tutela nasce il beneficio, dalla mancanza di tutela nasce prima il danno alle persone offese, e poi l’eventuale insieme di conseguenze per altri soggetti e per l’azienda stessa.


È NECESSARIO RIBALTARE QUESTO DISTORTO CONCETTO DI RESPONSABILITÀ CHE CI PORTIAMO DIETRO, e che in modo più o meno forte, è comunque radicato in tutti i paesi in cui esiste una legislazione ben sviluppata in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Se non c’è danno alle persone le violazioni sono al massimo formali, possono comunque comportare conseguenze anche molto sgradevoli per l’azienda, ma in qualche maniera un modo per rimediarle si trova. Quindi vale poco partire da un concetto rigoroso di rispetto delle leggi vigenti, se poi invece si lascia aperta la possibilità di danno alle persone su fronti che in qualche maniera si sarebbero potuti affrontare e migliorare.

L’elemento decisionale che deve guidare le priorità di qualunque investimento per il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro è la possibilità di ridurre l’entità del danno alle persone, oppure la probabilità che tale danno si manifesti. Insomma, detto in termini più vicini ai principi ormai universalmente adottati dalla legislazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, l’elemento che determina le priorità è la valutazione dei rischi.


UNA SEMPLIFICAZIONE. La valutazione dei rischi è, evidentemente, lo strumento migliore per dare le priorità in materia di interventi di miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro. Ma è uno strumento non così banale da adottare, e tende a dare risultati molto soggettivi. Potremmo dire, quindi, che è uno strumento ideale se utilizzato da specialisti allenati. Per contro le scelte di miglioramento sono spesso attivate e pilotate dal giudizio di persone che non hanno una preparazione specialistica, ma hanno, questo si, la concreta possibilità di osservare le situazioni che si presentano sul campo. Quale è il rischio? Che queste persone vedano una situazione critica, ma che poi cercando di effettuare una valutazione del rischio secondo i parametri che qualcuno ha cercato di insegnare loro, vadano a sottovalutare il rischio (non comunicandolo), oppure lo sopravvalutino (inondando di comunicazioni inutili gli specialisti della sicurezza). In ogni caso andrebbero a produrre inefficienza, e con le risorse (poche) oggi disponibili nelle aziende, ogni inefficienza deve essere evitata assolutamente.


FARE BENE UNA VALUTAZIONE DEI RISCHI, considerando correttamente i consueti parametri di gravità del possibile danno e di probabilità di accadimento dell’evento dannoso, non è difficile ma richiede tanto tanto allenamento. Un allenamento che può avere solo chi dedica all’argomento una parte importante del proprio tempo lavorativo. Prima di tutto sgombriamo il campo dal fatto che chi si occupa di sicurezza (non a tempo pieno) debba sapere riconoscere ciò che è conforme da ciò che non lo è; questo è un tema di pertinenza di altri soggetti. Dovrà piuttosto sapere riconoscere ciò che è integro da ciò che è guasto, e questo in molti casi lo può fare per semplice differenza fra come era all’inizio e come è ora (una attrezzatura, una scala, un parapetto, uno strumento di lavoro).

Secondariamente ragioniamo sui filtri mentali da utilizzare per capire se una condizione osservata è davvero pericolosa oppure non merita particolare attenzione. Una buona soluzione è quella di rinunciare ai ragionamenti sulla probabilità che si verifichi l’evento dannoso, tenendo invece bene a mente la stima della gravità delle possibili conseguenze. In pratica si può ragionare in questo modo (secondo un semplice flusso logico a domande successive):

• Il lavoratore osserva una potenziale fonte di pericolo: un ingranaggio in movimento, una superficie calda, la proiezione di un fluido in pressione, un elemento tagliente.

• A questo punto deve considerare se esiste la possibilità che qualcuno entri in contatto con tale fonte di pericolo; se è proprio evidente che è impossibile che qualcuno si esponga alla fonte di pericolo la analisi si ferma qui e si evita ogni forma di comunicazione ad altri.

• Se procede, la domanda successiva che si deve porre è legata al massimo danno che può derivare ad una persona in caso di infortunio o malattia professionale; se si tratta di un danno permanente, anche minimo, la situazione necessita di una analisi seria e completa, e quindi è necessario coinvolgere uno specialista. Naturalmente la risposta dello specialista, che riesaminerà nel dettaglio e con maggiore competenza tutti gli aspetti già sommariamente considerati, potrebbe essere in contrasto con la impressione del segnalatore. Succede, non c’è nulla di male, basta approfittarne per migliorare le capacità e le competenze del segnalatore.


SEGNALAZIONI, MA ANCHE DECISIONI. In realtà l’approccio potrebbe essere esteso anche ad altri livelli. Infatti è vero che una valutazione dei rischi ben condotta non può che tenere conto, in modo equilibrato, di gravità e probabilità; però nel mondo del tissue i rischi non sono così gravi e specifici da consentire l’adozione di metodi di stima della probabilità analitici e oggettivi (quelli che normalmente si utilizzano per impianti chimici o di produzione dell’energia). La stima della probabilità resta una questione piuttosto soggettiva, e comunque difficile da sostenere in caso di contenzioso.

Quindi l’idea di ricorrere principalmente alle considerazioni in merito alla gravità può essere valida anche nel momento in cui si devono prendere delle decisioni a carattere manageriale. Alla fine l’esperienza dimostra che i piccoli danni infortunistici rappresentano un fatto da evitare, ma non creano sconvolgimenti nella gestione di una azienda, mentre un solo evento molto grave può avere conseguenze imprevedibili. Quindi, ancora una volta, la partita si gioca principalmente sulla capacità di tutti, dai lavoratori di reparto ai manager, di riconoscere i pericoli e di comprenderne la potenziale gravità.



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