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Megacities

Dal 2007 più del 50% della popolazione mondiale vive nelle città e si prevede, secondo i demografi delle Nazioni Unite, che entro il 2050 questa percentuale toccherà il 70%. I mutamenti che si prevedono sono enormi non solo per il numero di persone che coinvolgono ma per i cambiamenti di scenari che vengono prefigurati.

Nico Zardo


Se gli abitanti del mondo mantenessero le attuali abitudini di consumi, l’umanità avrebbe bisogno di ben 1,5 pianeti come la Terra per far fronte alle risorse necessarie. Questo dato, contenuto nel Living Planet Report 2014 del WWF, fa comprendere quanto sia importante cambiare atteggiamento in tema di sostenibilità. Un impegno che riguarda tutti: le istituzioni, nel loro ruolo di governanti e legislatori, le aziende chiamate a rivedere i processi di produzione e stimolare atteggiamenti di consumo più responsabili, i singoli cittadini, che possono incidere a fondo con i loro comportamenti e le loro scelte, sia a livello individuale, che come membri delle comunità.
Gran parte dello sviluppo urbano previsto avrà luogo nei paesi in via di sviluppo, che dovranno affrontare numerose sfide per soddisfare le nuove esigenze che riguardano l’edilizia abitativa, le infrastrutture, i trasporti, l’energia e l’occupazione, oltre che per i servizi di base come l’istruzione e l’assistenza sanitaria.
Il 37% della crescita della popolazione urbana mondiale tra il 2014 e il 2050 interesserà India, Cina e Nigeria. Nel 2050 si prevede che in India gli abitanti delle città saranno 404 milioni, in Cina 292 milioni e in Nigeria 212 milioni.

 

NEL 2014 SONO STATE CENSITE 28 MEGA-CITTÀ CON PIÙ DI 10 MILIONI DI ABITANTI:  sedici si trovano in Asia, quattro in America Latina, tre in Africa e in Europa e due in Nord America. Entro il 2030, il mondo è proiettato ad avere 41 mega-città con 10 milioni di abitanti o più.
Tokyo resta la città più grande del mondo con 38 milioni di abitanti, seguita da Delhi con 25 milioni, Shanghai con 23 milioni, e Città del Messico, Mumbai e San Paolo, ciascuna con circa 21 milioni di abitanti. Osaka ha poco più di 20 milioni, seguita da Pechino con poco meno di 20 milioni. L’area di New York-Newark e Cairo completano le prime dieci aree urbane più popolose con circa 18,5 milioni di abitanti ciascuna.
Le piccole città sono numerose e in rapida crescita. Quasi la metà dei 3,9 miliardi di abitanti delle città di tutto il mondo risiede in relativamente piccoli insediamenti con meno di 500.000 abitanti, mentre solo circa uno su otto vive in 28 mega-città con 10 milioni di abitanti o più.
Considerato quindi il forte movimento migratorio dalle zone rurali alle città, il modo di affrontare una urbanizzazione sostenibile è la chiave per il successo dello sviluppo e i problemi legati a sanità ed igiene occupano un posto di grande rilievo.

 

ARIA E CAMBIAMENTI CLIMATICI. Oggi le città ospitano più della metà della popolazione mondiale ma consumano due terzi dell’energia e producono oltre il 70% delle emissioni di CO2 responsabili del riscaldamento globale. Le ricadute sulla salute dei cittadini sono ormai tristemente evidenti e la diagnosi è chiara da tempo.
La ricetta degli esperti dell’ONU presentata a Copenaghen a novembre 2014 parla chiaro: “A livello globale bisogna ridurre le emissioni dal 40 al 70 per cento tra il 2010 e il 2050 e scendere a zero entro il 2100”.
Quasi la metà delle città sta già iniziando a misurarsi con gli effetti dei cambiamenti climatici e tra non molto lo dovranno fare praticamente tutte, anche perché oltre il 90% delle aree urbane sorge in territorio costiero e nel giro di qualche anno saranno obbligate a fare i conti con l’innalzamento del livello del mare e l’intensificarsi degli eventi atmosferici estremi. Lo tsunami asiatico del 2004 e gli l’uragani Katrina nel 2005 e Sandy nel 2012 resero drammaticamente visibile il cambiamento climatico sulle città costiere.
Le città di nazioni avanzate dovranno adottare nuove tecnologie per mitigare gli effetti dei gas serra, investire per la riorganizzazione dei sistemi di trasporto e di iniziative indirizzate a un sistema di vita sostenibile. Per le città delle aree in via di sviluppo sarà determinante adottare scelte di pianificazione allineate con tecnologie che tendano a ridurre i consumi energetici dei fabbricati e dei trasporti per consentire la sostenibilità delle infrastrutture.

 

ACQUA E RISORSE RINNOVABILI. Il 97% dell’acqua del nostro pianeta è salata. Solo l’uno per cento dell’acqua fa parte della frazione rinnovabile grazie al ciclo idrogeologico. Quel che resta è chiuso nei ghiacciai, ai poli o nelle falde sotterranee. E sappiamo che la distribuzione del prezioso liquido sul pianeta non è omogenea: alcuni paesi hanno abbondanza, altri scarsità. Le megacities già presenti o che stanno formandosi in Asia, America Latina e Africa si troveranno ad affrontare una grande sfida. Nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo, la crescita urbana è indissolubilmente legata con l’espansione di slum e povertà; nel 2000, quasi un terzo degli abitanti delle aree suburbane viveva in baraccopoli. Poiché le infrastrutture della città non riescono a tenere il passo con la massiccia crescita urbana, molte persone sono lasciate senza possibilità di accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici.

 

QUI DI SEGUITO, ALCUNE SITUAZIONI RIPORTATE NELLA RELAZIONE DEL WWF "BIG CITIES. BIG WATER"
  - A Città del Messico, lo sfruttamento eccessivo delle falde acquifere ha contribui-to alla subsidenza continua (5-40 cm all’anno), aumentando la probabilità di inondazioni. La dipendenza delle forniture da riserve in quota ha portato a conflitti sociali e ambientali con le comunità del bacino dei donatori, oltre ai costi elevati dell’energia per trasportare l’acqua da oltre 1000 metri di altezza e 150 chilometri di distanza.
- I livelli di inquinamento nei fiumi di Buenos Aires sono così alti che possono essere considerati “opensewers”. Il Riachuelo, uno dei fiumi più inquinati del mondo, attraversa la capitale Argentina in una zona abitata prevalentemente da una popolazione a basso reddito, dove fra i bambini si registrano casi di infezione intestinale, spesso mortali, con una frequenza superiore alla media.
- Il sessanta per cento degli abitanti di Nairobi, Kenya, vivono in baraccopoli con accesso insufficiente all’acqua potabile: sono costretti a comprarla da distributori privati a caro prezzo. La mancanza di servizi igienici e di trattamento dei rifiuti è causa di gravi problemi per la salute della popolazione locale, ma anche di inquinamento dei sistemi fluviali.
- Più del 50% della popolazione di Karachi, Pakistan, vive in slum e la maggior parte di loro convive con una grave penuria di acqua, nonché la mancanza di un’adeguata rete fognaria. L’ottanta per cento delle acque reflue non trattate viene scaricato nel Mare Arabico e circa 30.000 persone, soprattutto bambini, muoiono ogni anno in città a causa di consumo di acqua contaminata.
- Kolkata, India, ha problemi di contaminazione fecale delle acque comunali e di inquinamento da arsenico delle falde sotterranee. L’autorità che sovraintende alle acque ha grosse difficoltà a mantenere in efficienza il servizio di distribuzione idrico che, essendo gratuito, ha grandi difficoltà per la sua gestione.
- La pur abbondante presenza di acqua non riesce a soddisfare la crescente domanda dei 23 milioni di abitanti di Shanghai. Fiumi inquinati e l’intrusione delle acque salate dello Yangtze, con gli ulteriori aggravamenti portati dai cambiamenti climatici, sono le principali minacce alla sicurezza dell’acqua .
Queste situazioni, che sono esemplificative di problemi presenti in molte parti del mondo, sottolineano, in diversa misura, come la gestione dell’acqua sia un problema fondamentale per lo sviluppo civile delle città. La loro sostenibilità va oltre il problema ingegneristico di gestione dei flussi d’acqua e richiede l’integrazione di diversi aspetti come la sensibilizzazione per ridurre i consumi, il corretto controllo nella manutenzione delle reti, il riutilizzo delle acque piovane e reflue, la gestione integrata dei bacini idrografici, il pagamento per servizi ambientali e l’adattamento ai cambiamenti climatici.

 

CIBO. Secondo la Fao, ogni anno si sprecano 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, tra frutta, ortaggi e altri prodotti della terra che finiscono nel cassonetto, spesso prima ancora di arrivare nelle case dei consumatori o vengono gettati da questi ultimi per l’incapacità di consumarli entro la data di scadenza.
Così come l’acqua potabile anche il cibo è presente in modo disomogeneo sul nostro pianeta, infatti a fronte di 900 milioni di persone che soffrono la fame ce ne sono 1,4 miliardi che hanno problemi di sovrappeso (ONU, settembre 2014). E l’80% delle persone che non riescono a sfamarsi vivono nelle campagne e lavorano per produrre cibo per gli abitanti di quelle città che stanno diventando sempre più grandi. Questo favorisce non poco l’incentivo a trasferirsi in città.

 

IL "MECCANISMO PARADOSSALE” potrebbe stare anche nel fatto che le maggiori aziende che controllano il 70% dell’industria alimentare del pianeta sono una decina (con centinaia di brand) e per ottenere bilanci performanti devono sfruttare al massimo sia i terreni sia chi, in campagna, lavora per produrre le materie prime.
L’industralizzazione porta, anche nella produzione del cibo, a una semplificazione delle tipologie di alimenti, quindi a una perdita di varietà e spesso il prodotto finale deve accettare la presenza di ingredienti non sempre qualificati in omaggio a regole di stretta economia di mercato. La gratificazione per il consumatore verrà affidata all’immagine della confezione e alla persuasiva campagna pubblicitaria. Desideri di cibo indotti artificialmente, stili di vita sedentari, scarsa attenzione alle abitudini alimentari portano molti cittadini a quelle condizioni di sovrappeso e obesità alle quali si collegano spesso le cause di patologie anche mortali.

 

UNA RECENTE RICERCA DELLA ROCKEFELLER FOUNDATION, "TRANSFORMING CITIES, VISIONS OF A BETTER FUTURE”, condotta con la collaborazione di sindaci, architetti, banchieri, slum activist e imprenditori, ha esaminato il problema di quali potranno essere i punti caldi che la grande trasformazione delle città potrà porre.
- Il primo problema riguarda la capacità di pianificazione dei cambiamenti che in una situazione di diffuse difficoltà economiche in cui si trovano la maggior parte delle amministrazioni cittadine e di instabilità politica di molti governi, consentirà solo decisioni e provvedimenti a breve termine, lasciando disattesi i problemi a lungo termine. In una situazione di rapida urbanizzazione queste difficoltà si ripercuotono necessariamente su una scarsa qualità dei servizi e una vivibilità delle città largamente deteriorata.
- I cambiamenti climatici, dopo gli esempi delle dure esperienze dello tsunami asiatico, gli uragani sempre più violenti, le inondazioni, la siccità e le ondate di calore metteranno a dura prova in particolare le città costiere. Gli effetti si ripercuoteranno sulle infrastrutture, provocheranno danno per l’interruzione delle attività e aumenteranno l’emarginazione dei poveri nei quartieri sempre più vulnerabili.
- Nelle metropoli che si ingrandiscono velocemente con scarsi tempi di integrazione, le divisioni tra quartieri ricchi e poveri saranno segnate da una diversa qualità di servizi fornita. La situazione favorirà motivo di proteste, disordini e frizioni sociali. Questo circolo vizioso diminuirà la qualità dei servizi pubblici come i trasporti e fornitura d’acqua, di raccolta dei rifiuti e servizi di fornitura di energia. Alcuni esempi di questi meccanismi si sono riprodotti in forme diverse in India, in Brasile e nelle banlieues di Parigi.
- Per un possibile miglioramento dei servizi è sicuramente importante una buona pianificazione e molte sono le aspettative che provengono dal costante incremento di raccolta dati la cui elaborazione può consentire un affinamento dei risultati. La maggiore e più facile interattività potrà favorire una comunicazione più diretta, allargata e in tempo reale, potrà fornire indicazioni a chi governa, aumenterà le opportunità imprenditoriali e potrà rendere più partecipative le proteste sociali. Per contro effetti negativi nasceranno dall’uso indesiderato dei dati.
- E' prevedibile un aumento delle proteste sociali che possono originare da insoddisfazione e frustrazione, scarsa qualità delle infrastrutture, precarietà, movimenti locali. Veicolate da social media potranno favorire delle reazioni utili a far nascere nuove forme di governance.

 

 

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