Tempo addietro si sentiva considerare da più parti che una azienda in cui avviene un infortunio non ha tutelato adeguatamente i lavoratori. Questo era un assioma che sosteneva che la dimostrazione del cattivo operato della azienda sarebbe stato l’infortunio stesso: quindi, indipendentemente da una più accurata indagine sulle cause, l’azienda sarebbe stata colpevole
Alessandro Mazzeranghi, MECQ S.r.l.
Indipendentemente dai paesi del mondo, questa idea è circolata e ha attecchito almeno nella immaginazione collettiva della opinione pubblica che, ove coinvolta per la visibilità mediatica del fatto avvenuto, tende a ritenere che una colpa debba essere attribuita alla azienda o a qualche suo rappresentante. È impossibile, secondo questa visione, che un infortunio non abbia colpevoli, la opinione pubblica può al limite accettare che i colpevoli non siano stati individuati o che non siano stati condannati per insufficienza di prove.
LA REALTÀ DEI FATTI. Frequentando i tribunali come perito, e studiando comunque con attenzione gli eventi infortunistici per i quali riesco ad avere sufficienti informazioni, vedo una realtà assai diversa. Possiamo dividere gli infortuni in tre grandi famiglie, in relazione alle cause degli stessi:
- L’infortunio è causato da una deficienza aziendale rilevante; ovviamente tale deficienza sarà causata anche da qualche scelta delle funzioni direzionali o sottoposte. In sostanza la colpa è attribuibile sia alla azienda che ad alcune persone fisiche che operano nella stessa.
- L’infortunio è causato dalla negligenza o dalla imperizia, per così dire, estemporanea di una persona (o più persone) senza che alla azienda si possano attribuire comportamenti scorretti. Quindi la colpa è ristretta a una o più persone fisiche (diverse dall’infortunato).
- L’infortunio deriva da un comportamento abnorme e del tutto imprevedibile dell’infortunato che è quindi il colpevole vero del danno subito (talvolta in concorso con altri).
Esistono naturalmente situazioni “miste”, ma sicuramente non sono altro che combinazioni varie degli scenari sopra descritti. E potrei fare innumerevoli esempi osservati personalmente, trattengono solo ovvie ragioni di spazio.
COME SI RAGIONA IN PRATICA (DOPO UN INFORTUNIO).
Quanti fra coloro che leggono queste righe operano in aziende certificate OHSAS 18001:2007? Ebbene, quando accade un infortunio, ciò che accade dopo è ben diverso da un audit di certificazione. Mi voglio spiegare meglio:
- L’audit di certificazione considera a campione il funzionamento di tutta la azienda verificando che, in generale, esista una organizzazione rispondente ai requisiti di norma, e che sia gestito correttamente il ciclo del miglioramento continuo.
- L’indagine su un infortunio, al contrario, si concentra sulla ricerca delle cause di quello specifico evento, andando quanto più possibile in profondità, ma limitando il campo di indagine solo a ciò che può avere relazione (causa – effetto) con l’infortunio. E naturalmente l’intera indagine è volta ad accertare eventuali colpe aziendali e/o personali.
Oggetto di queste pagine è quindi: come controbattere e difendere l’azienda (e le persone della azienda) in questo secondo caso?
LA DIFESA È POSSIBILE (QUANDO È POSSIBILE). Dico subito che parlerò dei casi in cui le colpe aziendali e/o delle persone della azienda sono assenti o decisamente opinabili, quanto meno sotto il profilo fattuale. Insomma, quando (secondo un giudizio inevitabilmente soggettivo) nessuno ha messo in atto volontariamente condotte negligenti o prive di perizia che poi hanno condotto all’infortunio.
Voi direte che in una condizione del genere è facile difendere l’azienda (sottintendendo quindi che quando l’azienda e/o le persone fisiche della stessa possono concretamente avere problemi giudiziari, vuol dire che erano davvero “indifendibili”, ovvero colpevoli); questo è sbagliato, non sempre ma in molti casi. Per un motivo stupido, se volete, ma ben chiaro: una azienda che opera correttamente, davvero correttamente, in materia di sicurezza si sente (giustamente) moralmente inattaccabile e quindi non si pone nemmeno il problema di come si difenderà in caso di infortunio. OK, se l’azienda in questione è del tutto priva di rischi residui (ma chi lo è??), allora il ragionamento regge, altrimenti si dovrebbe considerare che: è vero che tutto quanto possibile e giusto è stato fatto per prevenire gli infortuni, ma devo anche essere in grado di difendermi facilmente nel caso che si verifichi un infortunio in relazione a uno di quei rischi residui che non sono riuscito ad eliminare (perché non era materialmente possibile).
E se partiamo da questo punto, ovvero azienda eticamente ineccepibile, persone attente e corrette, ma nessuna predisposizione preliminare che dia forza alla difesa, anche chi difende dovrà andare a fondo, con una accuratissima indagine, nella concreta sostanza dell’evento infortunistico, per ricostruire accuratamente l’evento e dimostrarne le vere cause, al fine di dimostrare inequivocabilmente che le medesime non sono di responsabilità della azienda o delle persone che per essa operano correttamente (ovviamente potrebbe imprevedibilmente emergere un responsabile dell’evento diverso dall’infortunato che ha agito per proprio interesse, per esempio per pigrizia o per fare bella figura …).
Quindi la difesa è possibile ma estremamente laboriosa e complessa, e il suo esito imprevedibile nella misura in cui a priori non si può sapere quali evidenze oggettive si potranno raccogliere a sostegno della tesi innocentista. Ricordiamoci sempre che per vincere la difesa deve essere molto più forte, nelle sue argomentazioni, dell’accusa (che comunque in certo senso gode di essere sopra le parti, e in qualche modo sfrutta, implicitamente, l’assioma di cui parlavo all’inizio).
E LE MALATTIE PROFESSIONALI? Solo una osservazione: ho scelto di non parlarne in quanto il ragionamento è simile, ma tutto l’operato della difesa è reso molto più difficile in quanto si parla di danni che trovano le loro radici prime in un passato anche di diversi anni.
UNA QUESTIONE DI GIUSTIZIA O DI PREVENZIONE. Noi continuiamo a vedere numeri sconfortanti, ogni volta che vengono pubblicati rapporti su infortuni e malattie professionali. E la conseguenza che qualche politico e i mezzi di comunicazione ne traggono è: le aziende, anche con l’aiuto di finanziamenti statali, devono investire di più per la sicurezza sul lavoro.
Nessuno vuole concretamente prendere atto del fatto che molti infortuni accadono anche per colpa dell’infortunato, o addirittura per colpa esclusiva dell’infortunato. Questo lascia una impressione deformata del fenomeno, e spinge ad azioni non adeguate rispetto ai fini prevenzionistici dichiarati.
Perché un grande tema che interessa tutti i paesi del mondo (e che dovrebbe essere affrontato con decisione estrema) è quello descritto dalla domanda che segue:
“come possiamo imporre alle persone a lavorare in modo sicuro, rispettando le regole stabilite e rendendosi anche coscienti, tramite pensiero autonomo, dei pericoli che potrebbero essere insiti in una determinata attività lavorativa?”