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Fabriano, un foglio di carta…lungo 750 anni!

1264: un notaio di Matelica (antica città in provincia di Macerata) acquista alcuni articoli di cancelleria; tra le altre voci sul registro del comune risultano alcune risme di “carta bambagina”. Quella carta arriva da Fabriano dove, ancora oggi dopo 750 anni si produce questa preziosa “materia”.

 

Nico Zardo


Oggi la realtà cambia con grande velocità e ci riesce difficile percepire il valore di una storia così lunga, rispettosa di una grande tradizione e al tempo stesso ricca di innovazioni che hanno mantenuto la produzione della carta legata a Fabriano e al suo territorio. Settecentocinquat’anni sono veramente tanti!


Sappiamo che il lungo viaggio della carta comincia in Cina nel II secolo a.C.

Originariamente realizzata con fibra ricavata dalla corteccia di gelso, offre un’alternativa meno costosa al foglio di seta, e favorisce la diffusione delle prime forme di comunicazione. Migliorata la lavorazione e arricchite le materie prime (si utilizzano paglia di tè o di riso, stracci logori) grazie a Ts’ ai Lun, ministro dell’agricoltura alla corte degli Han Orientali, nel 105 d.C, la carta raggiunge un grado di perfezione tale da suscitare l’approvazione dell’Imperatore che ne autorizza l’uso in tutto l’impero.

 

LA SUA RICETTA, TENUTA SEGRETA PER LUNGO TEMPO,

solo dopo il VII secolo esce dai confini della Cina e viene conosciuta in Corea e Giappone. Due cartai cinesi che vengono fatti prigionieri dai mussulmani a Samarcanda favoriscono la sua diffusione verso ovest: raggiunge Bagdad nell’800, viaggia fino a Damasco, poi al Cairo (nel 900), nel 1100 è a Tunisi da dove passa in Spagna e Italia e, infine a Fabriano. È in questo centro dell’Appennino Umbro-Marchigiano a settanta chilometri circa sia da Ancona che da Perugia, favorito dalla presenza dell’acqua del fiume Castellano, che la carta conosce una nuova vita. Dal 1200 diventa, qui, un prodotto di grande qualità tanto da essere richiesto sia nelle città italiane come Ancona, Venezia, Perugia, Firenze, Lucca sia all’estero in Svizzera, Austria e Francia.

 

DOPO I MIGLIORAMENTI INTRODOTTI DAGLI ARABI che avevano sostituito la corteccia di gelso e la paglia di riso con stracci di lino e canapa, la carta a Fabriano conosce ulteriori spinte innovative. Mutuando le tecniche usate dai lanaioli, che battevano la lana per infeltrirla, i mastri cartai fabrianesi utilizzano la pila a magli multipli per sfibrare gli stracci e trasformarli in pasta; sostituiscono la colla di origine vegetale con una gelatina animale che oltre a migliorare l’impermeabilità del foglio ne garantisce la conservazione, accorgimento, questo, che consente l’impiego della carta per la redazione di atti pubblici; adottano un telaio in “vergelle” di filo metallico (anziché in legno) per il fondo della forma dove si raccoglie la pasta dal tino, favorendo la creazione di quella filigrana che, visto in trasparenza, contraddistingue il foglio rendendo individuabile la sua origine, come un marchio di fabbrica.


Malgrado i tentativi di tenere segrete le pratiche di produzione, le richieste in costante aumento sia in Italia che nel Nord Europa, provocano la nascita di nuove cartiere: in Francia a Troyes nel 1338, a Grenoble nel 1346, a Essonnes, nei pressi di Parigi nel 1354. Il primo mulino tedesco nasce a Norimberga nel 1390, grazie al contributo di cartai milanesi.

 

CON L’INVENZIONE DELLA STAMPA CON CARATTERI MOBILI,

a metà del 1400 le richieste di carta aumentano considerevolmente: oltre ai libri le lettere di cambio, i certificati di deposito, si moltiplicano seguendo un’economia che va strutturandosi e affida alla carta il compito di rappresentare beni e valori.


La Banca di Svezia sarà la prima a emettere carta moneta a uso pubblico e in Gran Bretagna iniziano a stampare banconote tra il 1660 e il 1694. Manifesti, volantini, giornali (il primo fu l’inglese Daily Courier, nel 1702), e i nascenti servizi postali richiedono un uso sempre maggiore di carta.


Nel 1600, le cartiere di Fabriano si riducono considerevolmente di numero a causa di diverse avversità: le ripetute epidemie che impongono di bruciare gli stracci per evitare il contagio sottraggono una preziosa materia prima, le pesanti tasse imposte dalla Reverenda Camera Apostolica, un certo arretramento tecnologico rispetto ad altri produttori europei che, grazie al nuovo ”cilindro olandese”, ottengono una pasta più fine e omogenea e una carta più bianca e sottile.

 

NELLA SECONDA METÀ DEL 1700

l’attività rinasce grazie all’opera di Pietro Miliani. Questo, capostipite di una dinastia che condurrà l’attività fino ai giorni nostri, prende in mano le sorti della cartiera del conte Antonio Vallemani, che dal 1782 prenderà in nome di “Cartiera Miliani”, allarga l’attività inglobando altri siti produttivi della zona, innesca una parabola di rinnovamento tecnologico e di potenziamento degli impianti.


Nel 1783, dopo cinquecento anni si abbandonano le pile a magli per i cilindri olandesi e nel 1796, grazie alle sollecitazioni del tipografo Giambattista Bodoni, vengono introdotte tecniche di produzione, messe a punto in Inghilterra e in Francia, che consentono la produzione di carta velina (wove paper).

 

IN QUEGLI ANNI PIETRO MILIANI DEVE AFFRONTARE UNA SITUAZIONE COMPLESSA

sia per l’impoverimento del territorio causato dalle forti richieste di indennità avanzate da Napoleone allo Stato pontificio dopo la pace di Tolentino (1797), sia per il saccheggio di Fabriano ad opera del generale francese J.C. Monnier (dopo l’insurrezzione delle bande marchigiane guidate dal generale cisalpino Giuseppe La Hoz), sia anche per una grave siccità che nel 1802 lo porterà a cercare energia idraulica in altri siti produttivi: a Nocera Umbra, Esanatoglia e Pioraca.


L’eredità di Pietro Miliani (1744–1817) viene raccolta dal nipote Giuseppe Miliani (1816-1890) che a soli dodici anni comincia a dedicarsi alla professione di cartaio, sotto la guida degli zii Niccolò e Tommaso; sviluppa l’azienda con l’acquisizione di nuove cartiere, favorisce il progresso tecnologico sia nelle macchine sia nell’affinamento della filigrana che sotto la sua direzione raggiunge livelli da vera e propria arte.


Oltre ai riconoscimenti per la qualità di produzione alle Esposizioni universali di Londra, Parigi e Vienna, Miliani inizia a fabbricare carte valori e di sicurezza ancora oggi apprezzate da clienti di tutto il mondo.


Con Giambattista Miliani (1856-1937), figlio di Giuseppe, l’azienda passa dal modello ottocentesco della gestione famigliare a una struttura con divisione delle funzione e delle responsabilità; gli impianti vengono rinnovati e potenziati. Oltre all’attività imprenditoriale Giambattista Miliani, riveste cariche pubbliche come ministro dell’Agricoltura nel governo di Vittorio Emanuele Orlando, nel 1927 è nominato podestà e nel 1929 è senatore. Dopo la seconda Guerra mondiale l’azienda cambia ragione sociale in “Cartiera Miliani Fabriano”, nel 1980 il controllo passa all’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato e, infine, nel 2002 passa al Gruppo Fedrigoni di Verona.

 

LE VICENDE DELLE CARTIERE DI FABRIANO SI LEGANO IN MODO INDISSOLUBILE ALLA FUNZIONE CHE LA CARTA

ha avuto nella nostra storia e continua ad avere ai giorni nostri. Riconosciamo la sua filigrana negli epistolari di Michelangelo Buonarroti, nei libri stampati da Giambattista Bodoni, nelle partiture musicali di Ludwig van Beethoven, nelle opere artistiche di Georgia O’Keeffe, di Francis Bacon e di Bruno Munari. La ritroviamo nella qualità della carta “tecnologicizzata” usata nella stampa degli euro, nei quaderni o negli album da disegno dei nostri figli, nei fogli per le fotocopie o nei bigliettini dove annotiamo la spesa da fare…


Un foglio di carta lunghissimo che dura da 750 anni!

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