PJL-42

IL MONDO SOSTENIBILE DI SOFIDEL

Intervista a Luigi Lazzareschi

Maura Leonardi


“È nostro compito e responsabilità far sì che le straordinarie caratteristiche di questo distretto, il suo know-how e la capacità di innovazione, non vadano dispersi e non diventino terreno di conquista estera”.



Abbiamo incontrato Luigi Lazzareschi, AD del Gruppo Sofidel. Ci ha raccontato la storia di quella che è una sigla di riferimento a livello globale per il tissue, della sua visione del business e del futuro del settore. Sofidel nasce nel 1966 grazie alla spinta imprenditoriale di Emi Stefani, attuale Presidente del Gruppo, e di Giuseppe Lazzareschi, padre di Luigi.


Quali sono i punti di forza che hanno fatto di Sofidel un colosso mondiale nel settore del tissue?

Credo che siano tre i punti di forza su cui abbiamo costruito la nostra crescita: l’appartenenza ad un distretto cartario forte, la qualità dei nostri impianti e l’internazionalizzazione. Andiamo fieri della nostra appartenenza al distretto cartario di Lucca e consideriamo un valore aggiunto essere nati in quest’area dove produzione e trasformazione della carta, grazie all’impegno e al talento di molti imprenditori e tanti lavoratori, hanno raggiunto livelli altissimi. Disporre di impianti moderni e performanti è un altro punto fermo del Gruppo, per i vantaggi garantiti sia in termini produttivi che di limitazione degli impatti ambientali. Il terzo fondamentale fattore di sviluppo è l’internazionalizzazione, un processo avviato alla fine degli anni ’90 e ancora in corso. La possibilità di produrre vicino ai nostri clienti – penso in primo luogo alle grandi catene di distribuzione europee – ci permette di innalzare la qualità del servizio che offriamo, di contenere i costi logistici, di difenderci meglio dai cicli economici dei singoli mercati, di realizzare economie di scala. Oggi, siamo presenti in 13 Paesi con 32 stabilimenti posti strategicamente vicino ai nostri clienti, soprattutto in Europa. Essere vicini ai nostri clienti è stata la scelta che ci ha consentito di conquistare mercati altrimenti inaccessibili.


Lo sbarco negli States. Sofidel è la prima azienda italiana del tissue che cerca fortuna in America.

Circa un anno e mezzo fa, abbiamo acquisito il 100% della Cellynne e dei suoi tre impianti produttivi in Florida, Wisconsin e Nevada. Cellynne, oggi Sofidel America, ha un fatturato di 165 milioni di dollari e rappresenta il 7% della nostra dimensione totale. Per noi si è trattato di un passo “storico”. Come è noto, infatti, il mercato statunitense in termini di consumo pro capite è il più importante mercato tissue del mondo e costituisce quindi un grande stimolo di crescita e una sfida industriale appassionante che intendiamo affrontare con umiltà e determinazione. Forti dell’esperienza maturata in Europa che, con i dovuti adattamenti alle specifiche peculiarità del nuovo mercato vorremmo in parte replicare, in America ci siamo dati obiettivi importanti. Oggi il 90% della nostra capacità produttiva è dedicata al settore AFH. Tra gli obiettivi di sviluppo a breve abbiamo l’aumento dei volumi e l’attenzione al mercato consumer dove riteniamo avverrà principalmente la nostra crescita. Intanto, però, non trascuriamo l’Europa, dove continuiamo ad investire. Lo testimoniano due recenti acquisizioni. Quella delle attività ex Georgia Pacific relative ai marchi Thirst Pockets, Nouvelle Soft, KittenSoft e Inversoft in Gran Bretagna (compreso lo stabilimento di trasformazione di Horwich) e alle licenze di utilizzo di due marchi leader in Benelux, come Lotus Moltonel e Lotus. E quella riguardante l’ex NTG, la nota cartiera inglese, che ci ha permesso di incrementare la nostra capacità produttiva in un mercato importante come quello britannico. Altri investimenti rilevanti sono in corso in Francia (centrale a biomasse presso lo stabilimento di Nancy ndr) e in Svezia (nuovo stabilimento di trasformazione a Kisa ndr).


Che cosa significa oggi essere innovativi nel mercato tissue?

Dal punto di vista dell’innovazione di prodotto, negli ultimi anni l’industria non è stata particolarmente capace di proporre novità di rilievo. Nel futuro, a breve, non prevediamo di realizzare innovazioni tecnologiche significative, ma di concentrarci sulla mappatura e segmentazione dei consumatori in base ai loro bisogni, per identificare prodotti specifici in grado di soddisfare una gamma più estesa di esigenze. In tal senso, la nostra Ricerca & Sviluppo lavora a pieno ritmo e nel 2014 abbiamo in previsione il lancio di alcuni nuovi prodotti a livello europeo. C’è poi un altro fronte centrale su cui siamo attivi, ed è la sostenibilità. Abbiamo scelto il concetto “Less is More” quale fonte di ispirazione per l’impegno del Gruppo su questo versante. Con “Less is More” intendiamo esprimere la nostra attenzione alla riduzione dei consumi e degli sprechi, che si traduce nell’offerta di prodotti più performanti, ottimali anche sotto l’aspetto della sostenibilità. Gli stili di consumo americani sono profondamente diversi dai nostri. Per esempio, la carta usata negli States ha caratteristiche che ne determinano un uso più elevato rispetto al necessario. Noi vorremo andare controcorrente. Impegnarci al massimo per dare “di più” ai nostri stakeholder in termini di prodotti, valori e servizi, “con meno” in termini, ad esempio, di consumi energetici o idrici, di utilizzo di materia prima, di produzione di gas climalteranti, di prezzo, di sprechi, di impatti negativi di qualunque genere.


Quali sono le dimensioni attraverso cui valutate la crescita?

Il Gruppo è cresciuto monitorando costantemente le proprie performance sulle tre variabili che decretano il successo di un’attività. La prima è la crescita, che nel nostro caso per quote di mercato, volumi, dipendenti e copertura geografica è stata costante negli ultimi 20 anni. Il secondo fattore riguarda i risultati economici e Sofidel sta producendo buoni risultati, ha un discreto EBITDA e i suoi numeri sono al di sopra della media di mercato. Il terzo è il ritorno sociale, i benefici in termini di benessere che la nostra attività produce. Sofidel è attenta a questa dimensione.


Che cos’è per voi la responsabilità sociale dell’impresa?

Per quanto riguarda gli impatti che l’azienda produce, la domanda di fondo che ci poniamo è: la nostra presenza ha un effetto positivo sul tessuto sociale di riferimento? In questo senso, operando in un settore con un’alta incidenza ambientale, che per funzionare ha bisogno di molta energia e molta acqua, è centrale in particolare il tema della sostenibilità ambientale.


Come operate in questo ambito?

Impegnandoci per limitare la produzione di gas climalteranti, adottando politiche di approvvigionamento responsabile della materia prima e ottimizzando l’utilizzo della risorsa idrica. Sul primo fronte nel 2008, prima azienda italiana e prima al mondo nel settore del tissue, abbiamo aderito al programma internazionale WWF Climate Savers. Si tratta di un programma a cui partecipano volontariamente 30 aziende, che definiscono con l’associazione obiettivi di riduzione delle emissioni dirette e indirette di CO2. Le aziende che aderiscono devono mettere in campo soluzioni tecnologiche e produttive migliorative e innovative, capaci di ridurre in modo rilevante le loro emissioni. Nel 2012, dopo oltre 25 milioni di euro di investimenti, Sofidel ha mantenuto l’impegno preso, abbattendo dell’11,1% le proprie emissioni rispetto al 2007. Per avere un’idea più precisa questa percentuale significa circa 186.000 tonnellate di CO2 in meno in atmosfera, più o meno l’equivalente di quanto emesso in Italia da 150.000 famiglie di 4 persone in un anno per i consumi elettrici. Un traguardo importante e ambizioso, nettamente superiore, fra l’altro, a quanto richiesto dalle normative in vigore. Per ottenere questi risultati siamo stati avvantaggiati dal poter contare su produttori di macchinari per la cartiera e per la trasformazione, che hanno colto il nostro invito a sviluppare soluzioni di ottimizzazione dei processi produttivi dei nostri stabilimenti. Al tempo stesso, abbiamo realizzato investimenti in impianti di cogenerazione e nel settore delle energie rinnovabili, con due centrali idroelettriche e tre impianti fotovoltaici, e potuto contare su un impianto a biomasse in Svezia. Un altro, lo accennavo prima, lo stiamo realizzando in Francia. Attualmente stiamo definendo con il WWF gli obiettivi per i prossimi anni, che devono tener conto delle accresciute dimensioni del Gruppo e delle sue attività. Per quanto riguarda le politiche di approvvigionamento della materia prima nel 2012, il 99,8% della cellulosa che abbiamo acquistato proveniva da foreste certificate o controllate secondo i principali schemi di catena di custodia forestale quali FSC, PEFC e FSC-CW (FSC Controlled Wood).

Per il contenimento dell’uso dell’acqua, il nostro consumo medio è attualmente di 7,6 litri per kg di carta prodotta. Un consumo piuttosto ridotto rispetto agli standard del settore che vorremmo però ulteriormente comprimere. Per questo stiamo facendo investimenti consistenti come, ad esempio, nello stabilimento Delicarta cartiera a Porcari (Lucca).


Lucca è la patria del tissue, che racchiude know-how, storia e tecnologia. Come vede il settore, le sue potenzialità per il prossimo futuro.

Il distretto nasce dalla lungimiranza di grandi imprenditori che, negli anni ‘60/’70, con il loro talento, il loro coraggio e la loro capacità di lavoro lo hanno sviluppato raggiungendo posizioni di avanguardia. È nostro compito e responsabilità far sì che le straordinarie caratteristiche di questo distretto, il suo know-how e la capacità di innovazione, non vadano dispersi e non diventino terreno di conquista estera. Sarà la cultura di impresa a giocare un ruolo cruciale nel mantenimento della leadership di questo network unico al mondo. Lucca si sta sforzando di sostenere la cultura di impresa con iniziative come, per esempio, il Master Cartario Celsius supportato dalle aziende locali. Il corso si sta internazionalizzando, aprendo anche ad altre realtà come la Francia e la Svezia.


Quali sono i driver che guidano il settore del tissue oggi?

Per molti anni la carta è stata considerata una commodity e l’attenzione era concentrata principalmente sulla produzione e la quantità. Una fase nella quale il driver fondamentale sono state le innovazioni tecnologiche. Oggi credo che stia assumendo maggiore importanza il consumatore. Il ruolo di traino del mercato è suo. È lui a indurre i produttori a soddisfare bisogni più mirati, a richiedere performance particolari, a manifestare nuove sensibilità, ad esempio, rispetto all’ambiente.


Quello del tissue è un mercato molto competitivo. Quali sono i vostri punti di forza?

Se un tempo il mercato era prodotto-centrico, oggi è caratterizzato dalla centralità del consumatore. È indispensabile allora dialogare con il consumatore e conoscerlo a fondo per offrirgli ciò che realmente desidera e ciò di cui ha bisogno. Lo stesso vale per l’altro nostro interlocutore, la grande distribuzione. Dialogo, ascolto, trasparenza, cultura del servizio sono per noi un impegno prioritario e costante. Così come l’impegno per la sostenibilità, che consideriamo una straordinaria leva di crescita e di sviluppo competitivo. Qualcosa che utilizziamo però più nella comunicazione verso il segmento retailer, o in ambito istituzionale, alla ricerca di collaborazioni e obiettivi comuni, che nella comunicazione di prodotto. A questo proposito ci siamo dotati anche di una specifica Carta della sostenibilità, che definisce i nostri principi, obiettivi e interlocutori, e di un Decalogo, che con trasparenza e chiarezza rende pubblici i dieci principali vantaggi che ci attendiamo.


Siete presenti in diversi Paesi con culture molto diverse fra loro, come siete riusciti a integrarli nell’ecosistema Sofidel.

Abbiamo cercato di diventare più internazionali rispetto a 10 anni fa adottando, per esempio, l’inglese come lingua comune. Abbiamo anche fatto in modo di non imporre troppo la nostra cultura, lasciando a dirigere i nostri stabilimenti all’estero persone del luogo dopo un breve periodo di affiancamento del personale Sofidel. Ancora oggi non è semplicissimo riuscire a comunicare con tutti. Negli Stati Uniti, per esempio, tra le 330 persone che impieghiamo, ci sono 27 nazionalità diverse. La multietnicità è però anche un’opportunità, perché genera stimoli, confronto e innovazione.


Il contesto economico è cambiato. Come riescono oggi le aziende a essere competitive e come affrontano le sfide del mercato?

Sintetizzerei dicendo che oggi la vera sfida si gioca sulla qualità e non più sulla quantità. Ieri bisognava produrre, ora bisogna vendere e, in un mercato altamente competitivo, in cui il prezzo rischia di diventare l’unico fattore di scelta, la preferenza del consumatore non può che essere determinata dalla qualità e dalla capacità delle aziende di proporre prodotti che ne soddisfino bisogni ed esigenze.


Il ruolo delle private label, come competono con i brand?

Oggi, in Europa, le private label rappresentano oltre il 60% della produzione totale, una fetta di mercato importante e in crescita. Hanno un’identità propria e i loro competitor non sono più solo i prodotti di marca, ma anche le altre private label. Prima la private label competeva con il brand leader di mercato, ora se la deve vedere anche con le altre private label di altri distributori. Questo innesca guerre di prezzo, che portano a un marketing più spinto e, in futuro, a una maggior segmentazione dell’offerta in base al target.

Negli Stati Uniti la marca privata ha un peso inferiore rispetto all’Europa, vale intorno al 25% del mercato, ma sta crescendo a ritmi importanti. Nei prossimi dieci anni crescerà molto e questo implicherà cambiamenti strutturali nella produzione. Sofidel seguirà da vicino gli sviluppi di questa realtà.


In conclusione, proviamo a tracciare un’ipotesi del futuro del settore.

La globalizzazione ha trasformato molto la struttura produttiva del settore. Il mercato del tissue si sta sempre più aprendo. Oggi ci sono molti più attori rispetto a dieci anni fa. Il quadro generale vede così un numero crescente di produttori attivi contemporaneamente sui diversi mercati. Penso, per esempio, ai produttori asiatici, medio orientali e sud americani che stanno uscendo dai propri confini per affrontare altri mercati. In questo contesto credo che per il mercato, il consumatore e le comunità dove sono attivi gli stabilimenti dobbiamo augurarci che la competizione sia equa e basata su standard accettabili dal punto di vista economico, sociale e ambientale. Che via sia sì concorrenza, ma basata su una sana competizione, non sul dumping sociale o ambientale, né favorita da pratiche non etiche. *



Il decalogo Sofidel della sostenibilità

Perché essere sostenibili conviene:

1. Ridurre i costi

L’utilizzo di fonti rinnovabili, l’incremento dell’efficienza degli impianti, la riduzione dei consumi di risorse energetiche e ambientali, la limitazione delle emissioni inquinanti sono fattori che si traducono anche in risparmi; in un incremento dell’efficienza economica.


2. Motivare il personale e attrarre lavoratori qualificati

A parità di retribuzione lavorare per un’azienda attenta alla dimensione sociale e ambientale è più appagante. Un ambiente di lavoro migliore e più sicuro aumenta inoltre la fiducia e lo spirito di squadra creando le condizioni per conseguire performance migliori.


3. Accedere a vantaggi fiscali

Governi e istituzioni pubbliche penalizzano fiscalmente le imprese più inquinanti incentivando talvolta con trattamenti premianti le imprese che investono per limitare i propri impatti ambientali e garantire uno sviluppo sostenibile.


4. Innalzare gli standard per l’ingresso sul mercato

Gli investimenti in sostenibilità contribuiscono ad innalzare gli standard di mercato rendendo più difficile il ricorso a pratiche competitive non corrette. Un utile strumento contro il cosiddetto dumping sociale e ambientale, attività attraverso le quali alcune imprese tentano di immettere sul mercato prodotti a prezzi più bassi offrendo garanzie inferiori ai lavoratori o non ottemperando alle normative di tutela ambientale.


5. Soddisfare le esigenze dei consumatori

Le persone sono sempre più attente alle risorse ambientali e alla coerenza dei comportamenti delle imprese. L’impegno in sostenibilità permettere di dare risposte appropriate a queste nuove esigenze e a questi nuovi bisogni.



6. Dare risposte alle esigenze dei clienti

Essere un’impresa sostenibile significa anche avere la capacità di rispondere positivamente ai criteri di qualificazione ambientale e sociale che pubbliche amministrazioni e clienti inseriscono nelle loro procedure di acquisto. Ovvero avere maggiori possibilità di aggiudicarsi le forniture e di sviluppare collaborazioni solide e durature


7. Anticipare normative più rigorose

La sostenibilità è un potente lievito culturale di innovazione tecnica e organizzativa che consente di precorrere le richieste di legge. Ciò consente di ridurre i rischi operativi, migliorare il dialogo con i poteri pubblici, accumulare vantaggi competitivi.


8. Incrementare credibilità e fiducia

Un’impresa che opera in modo sostenibile è un’impresa che lavora per essere pienamente trasparente. Responsabilità e trasparenza sono due dimensioni complementari delle sostenibilità, che contribuiscono a costruire credibilità e rapporti basati sulla fiducia.


9. Rendere più agevole l’accesso ai capitali

Gli indicatori e i parametri di sostenibilità contribuiscono a facilitare l’accesso ai mercati finanziari. Un’impresa sostenibile è un’impresa che nell’interlocuzione con banche e istituzioni finanziarie vanta un vantaggio competitivo.


10. Rafforzare la reputazione

Gli stakeholder valutano in modo crescente le aziende per i valori che incarnano. In questo senso l’impegno per la sostenibilità si traduce anche in un miglioramento della reputazione, la percezione che gli stakeholder hanno dell’impresa. Una buona reputazione costituisce una risorsa intangibile fondamentale che contribuisce in modo significativo a creare valore aggiunto per la marca e per l’azienda.



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